mercoledì 2 dicembre 2009

DESERTO (Omaggio a J. G. Ballard)

DESERTO (omaggio a J.G. Ballard, 1930-2009)

Questo breve racconto è dedicato all’autore di fantascienza che ha alimentato, da gran gourmet, la mia fantasia di ragazzo. Ve ne sono stati molti di racconti e molti di autori appassionanti, ma J. G. è quello che ha cucinato i piatti per me più prelibati e cioè i suoi primi racconti. So che Ballard ha rinnegato alcuni di questi suoi scritti, ma questo è nell’ordine delle cose. Se questo umile omaggio avrà qualche merito sarà certamente frutto della Sua ispirazione e se invece non avrà che difetti, aspirerà, perlomeno spero, ad un posto nella gloriosa lista di quelli “ripudiati”.

Abstract:
In un mondo in cui tutto è stato spazzato via dalla sabbia e dal vento e la desertificazione ha divorato ogni cosa, una "umanità" disperata di vagabondi e predoni miserabili, si disputa le spoglie di quella vita che, in un tempo lontano, rigogliosa conquistò la Terra ...

==
DESERTO

Il vento, violento e incostante, sferzava di sabbia una incerta figura, nel mare di interminabile sabbia, di un deserto planetario; il procedere faticoso era una lotta tremenda, e spesso perdente, per quell’esile forma di vita, ricoperta di miseri cenci …
TALIB lottava con tutte le sue forze contro quella furia e cadeva e si rialzava e trionfava nel compiere un singolo passo, ma stava soccombendo e se ne rese infine conto. Non c’era modo di andare avanti in quelle condizioni; avrebbe potuto cambiare leggermente direzione e bordeggiare per mantenere la direzione della sua meta, ma così avrebbe ulteriormente allungato il percorso. Era forse meglio arrendersi e riposare, in attesa che il vento calasse o almeno che girasse un po’ a suo favore. Non gli restava che approntare un accampamento di fortuna e così si levò dalle spalle l’imbracatura di cinghie sbrindellate, con le quali trascinava la sua misera slitta, sopra la quale era assicurato un minuscolo “iglù”. Un iglù che era, veramente, la sua unica “dimora”, costruita con quel poco che il deserto offriva e che principalmente erano vetusti rifiuti, trasportati per il mondo dal vento e depositati qua e là e, di quando in quando, raccolti, come oro da un minatore, dai vagabondi dell’immenso deserto, come TALIB. La sua dimora, un misero guscio di sopravvivenza contro la ferocia del suo mondo di dune; una buia e fetida protezione dall’incessante soffiare e dalla sabbia tagliente, ma prima di entrarvi, bisognava fissarne i picchetti e bene, pena essere trascinati via con tutta la slitta e sollevati e scaraventati lontano …
TALIB si aggirava, spossato, intorno alla slitta, tendendo al massimo i tiranti e spingendo gli approssimativi picchetti più in profondità che poteva, aiutandosi con una rozza mazza di legno e pietra. Il suo abbigliamento di vecchie pelli e stoffe lacere, con un turbante che gli avvolgeva completamente la testa ed il volto, era l’unica difesa contro gli spietati elementi e, se poteva vedere ciò che faceva, lo doveva soltanto al suo bene più prezioso: un pezzo di vecchia plastica trasparente fissato dentro le falde del suo copricapo avvolgente e dallo stesso trattenuto, davanti agli occhi, a mo’ di visiera.
Finalmente anche l’ultimo tirante era stato sistemato e TALIB, allo stremo, si infilò nel basso cunicolo, richiudendo, dietro di sé, i lembi di pelliccia lacera, che costituivano l’unica difesa dall’impietoso ambiente esterno. Al buio del suo minuscolo rifugio, si lasciò andare completamente, sperando che il sonno cancellasse presto il dolore, che attanagliava ormai ogni suo singolo osso.
Ma non sempre la stanchezza fisica, corrisponde a quella della mente e TALIB, in quel buio, accompagnato dai sibili del vento e dalle improvvise ondate di sabbia che colpivano l’esterno, pensò a lungo prima di addormentarsi e vide scorrere immagini e sentì voci e soffrì intensamente, fra i ricordi strazianti di fatti, avvenuti non molto tempo prima …
Un tempo, non molto lontano, nel quale TALIB trascinava la sua slitta in compagnia del suo clan, dei suoi simili, di altri vagabondi come lui e che, insieme a lui, cercavano le risorse per sopravvivere, insieme, in quel mondo ostile oltre ogni incubo peggiore. Un clan numeroso era l’unico modo, per quelli come lui, di proteggersi dal mondo esterno e qualche volta anche dai predatori, che quel mondo infestavano. Ma non sempre … Come l’ultima volta in cui, lui e il suo clan, vi erano incappati e, circondati, furono, uno ad uno sterminati in gran parte; mentre alcuni, tra cui egli stesso, si erano dispersi, per mai più ritrovarsi, nell’immenso e arido mondo di sabbia e rifiuti.
Ma in quel dormiveglia, intriso di stanchezza e denutrizione, quello che lo tormentava di più, era il ricordo del suo vecchio, colui che l’aveva protetto fino ad allora e che gli aveva insegnato tutto, su come sopravvivere nel loro mondo; ma gli aveva anche descritto un mitico mondo del passato, senza sabbia e vento, ma con acqua in abbondanza e cibo e tutto quello che si poteva desiderare. Il vecchio gli aveva anche detto che qualche traccia di quel mondo di sogno esisteva ancora, a Nord, molto a nord, dove ancora si trovava un mare d’acqua dolce e dove, forse, la vita era più ricca di quanto TALIB avesse ancora mai visto.
Il vecchio UDAY, suo protettore, che gli aveva donato una conchiglia sigillata, come suo retaggio, in segno di fiducia, incitandolo a cercare costantemente quella meta, quella terra di sogno, perché non c’era altro scopo in una vita come la loro, che potesse dargli un senso, che valesse tanta sofferenza. TALIB l’aveva promesso al suo caro vecchio UDAY; lui, l’avrebbe raggiunto quel mare d’acqua dolce e avrebbe consegnato il dono ricevuto, secondo le istruzioni del suo mentore.
E TALIB poteva solo sognare di quelle cose mai viste e lo aveva fatto tante volte nella sua giovane vita e lo stava facendo anche in quel momento, fino a quando il sonno non lo aveva sopraffatto, cancellando finalmente quel fischiare interminabile, che incessantemente tormentava le sue orecchie …
Quando infine si svegliò, ebbe un momento di esitazione, pensando di dormire ancora: il suono non c’era più, era circondato dal silenzio nel buio del suo iglù; poi si rese conto: forse era scesa la notte e la bufera di sabbia era calata momentaneamente, come spesso succedeva, di notte … TALIB uscì, timidamente, dapprima, ma appena fu certo della situazione si alzò felice nella tersa notte inondata dalla luna e da un cielo stellato che lasciava senza respiro.
TALIB era sempre stato rapito dalla potenza incombente del cielo stellato e dalla bellezza del deserto alla luce pallida della luna e dalla quiete, in assenza di vento, dal silenzio e dalla quiete … Respirava TALIB, respirava quella rara quiete, la sentiva entrare in sé ed uscire col suo fiato, che, per una volta, era l’unica aria in movimento …
Mentre coglieva quella breve pausa, ebbe come una vaga percezione di movimento in lontananza, si voltò per individuarne la provenienza, ma non vide che dune e cielo e stelle. Scrutò con attenzione tutto l’orizzonte e poi di nuovo nel senso opposto, ma non c’era il minimo cambiamento, tutto era fermo e uguale. Sentì l’arsura in gola e i morsi della fame e si decise porvi rimedio, per quanto possibile. Da uno dei sacchi fissati alla slitta prese un fagotto ed un vecchio contenitore chiuso che agitò, per rendersi conto di quanta acqua gli fosse rimasta, dopo quella fuga precipitosa ed era poca. Anche il contenuto del fagotto, una volta aperto, si rivelò ben poca cosa: era la sua ultima carne secca, quando e dove avrebbe mai potuto trovarne dell’altra ora che UDAY non era più con lui a guidarlo. Insieme alla carne, nell’involucro, teneva alcune pietruzze levigate dal tempo e dall’uso, un vecchio trucco, suggeritogli da UDAY per i tempi di magra. TALIB strappò un pezzetto di carne, si inumidì le labbra e la bocca con poche gocce d’acqua, poi si mise in bocca il pezzetto di carne e le pietruzze; in quel modo avrebbe succhiato lentamente la carne e le pietre avrebbero stimolato la salivazione, prolungando la sensazione di nutrirsi in mancanza di vero nutrimento. Sapeva sopravvivere con poco e qualche volta niente, grazie alla saggezza di UDAY.
Ancora una volta, mentre armeggiava col suo misero cibo ebbe come il sentore di una variazione nei dintorni e fu scosso dalla paura, ma esplorando intorno a sè attentamente, escluse ogni pericolo …
Chissà quanto sarebbe durata quella pausa di pace, forse era meglio approfittarne per mettersi in marcia e coprire la massima distanza, diretto verso il Nord, con l’aiuto delle stelle; anche se lui aveva un istinto per orientarsi, anche nel pieno delle tempeste di sabbia.
La marcia col favore della quiete notturna durò poco, ma il vento che si era alzato, per fortuna , soffiava alle spalle di TALIB, blandamente, sollevando poca sabbia e lasciando qualche squarcio di cielo libero alla vista.
L’istinto di TALIB lo teneva ancora in ansia, con quella sensazione di non essere solo, che già aveva avuto più volte. Continuava a voltarsi per tentare di cogliere qualcosa, ma nemmeno lui sapeva cosa …
Il vento saliva, col salire del giorno e la sabbia iniziava il suo implacabile martellamento, quando TALIB si voltò di scatto per l’ennesima volta, ma a differenza di prima ora si trovò davanti l’ombra in movimento di qualcosa che si avvicinava rapidamente …
Una slitta trascinata da cani arrivò veloce e, con una mezza accostata, si fermò esattamente di fronte a lui.
TALIB non aveva incontrato molti individui, a parte quelli del suo clan, nella sua giovane vita e di solito da chi si incontrava conveniva fuggire, diceva UDAY, perché era difficile individuare un predatore: quelli erano capaci di aggredire e uccidere per depredare e nutrirsi. TALIB li aveva visti all’opera, ma non avrebbe saputo distinguerli da quelli del suo clan, per il semplice aspetto. Quello che lo lasciava perplesso in quel momento, era quella muta di cani e quella slitta così grande, come era possibile nutrire tutti quei cani, si chiedeva. Poi pensò anche, che ormai era troppo tardi per fuggire: era venuto per lui il momento di affrontare la vita senza la guida rassicurante del vecchio UDAY …
Da dietro l’ampio iglù spuntò una figura agile, che gli si avvicinò facendo segno di amicizia, così come usava anche presso il suo vecchio clan, pensò che fosse una cosa normale e che forse si faceva così in tutti i clan, ma ancora non capiva se si trovasse in pericolo o di fronte ad un vagabondo come lui magari più fortunato ed esperto e magari appartenente a qualche clan accampato lì introno.
Il nuovo arrivato faceva segno di seguirlo ed indicava a TALIB il suo grande iglù, sembrava che lo volesse come ospite e questo sorprese molto TALIB: per lui era la prima volta, nessuno l’aveva mai invitato prima!
TALIB, timidamente, seguì lo straniero e, solo dopo molte insistenze di quest’ultimo si convinse ad entrare nella sua dimora. L’ospite fece qualcosa che TALIB non capì e subito dopo, lentamente, una piccola stella apparve, dentro una scatola trasparente; TALIB ne fu subito ipnotizzato e rimase lì senza quasi fiatare …
- HYAM, io sono HYAM …
TALIB fissava la piccola stella tremolante e vedeva, vedeva tutto dentro quel luogo chiuso: non sapeva che fosse possibile, non era mai stato al chiuso in presenza di un lume, anche se qualche volta aveva visto dei fuochi all’aperto. Guardava, in silenzio, tutto quello spazio, dove si poteva stare in piedi appena leggermente piegati e tutte le cose sparse in giro, pelli stoffe, contenitori vari …
- HYAM, io sono HYAM … - Diceva il suo ospite, ma lui taceva e guardava rapito, guardava …
- HYAM, io sono HYAM … - Ripeté l’ospite, indicando sé e poi lui …
- TALIB, io sono TALIB.
Mentre TALIB rispondeva, il suo ospite si tolse il velo dal viso e poi anche il turbante dal capo, scuotendo la testa, prima in avanti e poi all’indietro, mentre una chioma di capelli roteava nell’aria, sfiorandolo. TALIB fu di nuovo pietrificato dalla vista: era la prima volta che vedeva un individuo senza il volto coperto e ben protetto. Era un individuo senza barba, ma non perché giovane come lui, ma per una ragione diversa che non conosceva e mentre rifletteva su quante cose UDAY doveva ancora insegnargli, HYAM continuò a togliersi quello che indossava, mostrando altre parti del corpo e rivelando altre curiose differenze con quello che sapeva essere il proprio corpo … Finché HYAM non fu completamente nuda e chiese a lui di fare altrettanto!
TALIB era terrorizzato non si era mai tolto i suoi stracci di dosso ne mai aveva immaginato di farlo, tutte quelle novità lo stavano confondendo sempre più, ma sarebbe stato solo l’inizio.
- Tu giovane e inesperto TALIB, io posso insegnarti molte cose se vorrai imparare, tu sei solo in mezzo a questo nulla ed anch’io. Non vorresti che noi due insieme iniziassimo il nostro clan e lo facessimo crescere? – Disse HYAM, portando le sue mani sul volto di TALIB e sciogliendo il velo dal volto prima ed il turbante poi. Questo fece cadere la piccola visiera di plastica di TALIB, il suo bene più prezioso ed egli si affrettò a raccoglierla ed a nasconderla veloce tra i vestiti …
- Che cosa fai? - Disse TALIB.
- Non temere, mio giovane TALIB, non ti farò del male ne ti deruberò, ma anzi voglio che tu abbia tutto ciò che è mio. – Nel dire questo HYAM allungo la mano per prendere un dei contenitori, lo aprì, versò un po’ d’acqua sulla sua mano e la passò sul volto di TALIB, massaggiandolo dolcemente.
- Non sprecarla così, io muoio di sete … - Disse TALIB, mentre faceva il gesto di raccogliere le gocce che scendevano a terra.
- Bevi quanto vuoi TALIB, tutta l’acqua che ho qui è tua. – Così dicendo ne versò ancora sul suo palmo e l’avvicinò alle labbra arse di TALIB.
- Chi sei? Come puoi avere tutto questo? – Chiese TALIB, mentre quelle poche gocce d’acqua sulle labbra lo fecondavano, come la terra sotto la pioggia, dopo una interminabile siccità.
- Io sono HYAM e appartengo ad un clan che possiede molte cose e ora queste cose appartengono anche a te se vorrai unirti a me, a noi … - HYAM stava aprendo un altro dei contenitori, dal quale estrasse più carne secca di quanta TALIB ne avesse mai vista; ne fece vari bocconi e glieli offrì.
TALIB era totalmente frastornato, ora stava mangiando e poco prima aveva bevuto, di fronte a sé aveva il corpo di un essere che lo affascinava per la morbidezza della pelle e l’impossibilità di vedere ossa sporgenti come lui invece aveva in abbondanza; nel frattempo infatti HYAM lo aveva spogliato del tutto e lui vide finalmente se stesso per quello che era: uno scheletro o poco più. Come poteva HYAM avere delle forme così morbide ed un corpo così pieno. E poi, con la bocca colma di cibo, iniziò a notare la diversità del corpo di HYAM e ne fu attratto senza capire perché e sentì anche che il proprio corpo stava cambiando ed anche il ritmo del proprio respiro non era più lo stesso … HYAM era sempre più vicino a lui e gli respirava addosso ed il suo fiato gli massaggiava dolcemente la pelle e TALIB … era sempre più confuso!
HYAM ora non si limitava a respirare vicino a lui, ma stava passando le sue labbra ovunque e TALIB provava qualcosa di completamente nuovo in grado di alterarne il profilo … Anche HYAM se ne accorse ed allora per TALIB iniziò una nuova vita, mai immaginata prima. HYAM si muoveva invitando TALIB a fare lo stesso ed egli presto imparò quello che voleva HYAM e che adesso capiva di volere anche lui!
Perse la cognizione del tempo TALIB e imparò molte cose in quell’incontro con HYAM; non gli importava più porsi domande, ora voleva solo quello che aveva conosciuto per la prima volta in quell’occasione. HYAM lo cercò molte volte e lui era sempre più felice, forse anche lui aveva, in fondo, qualcosa con cui ricambiare la generosità di HYAM … HYAM … come aveva potuto vivere senza di lei per tutto quel tempo?
Mentre se ne stava disteso ed i pensieri correvano liberi nella sua mente, vide HYAM sdraiata vicino, vide il suo respiro sollevarle il seno ritmicamente e poi scese con lo sguardo lungo suo il corpo fino al punto che più la distingueva da lui e si sentì ancora una volta attratto da quel mistero che aveva appena svelato e gli sembrò di ricordare di cose che gli erano state spiegate e che lui non aveva capito e poi quasi dimenticato.
Capì improvvisamente che quello che avevano fatto, gli era stato spiegato, tanti anni prima dal vecchio UDAY, che da quel gesto avrebbe effettivamente iniziato il proprio clan, avrebbe generato un nuovo individuo … e vide con altri occhi la bellissima HYAM e l’amò.
TALIB era pieno di una nuova vitalità e voleva esprimerla urlando di gioia e saltando e gridando ancor di più, ma il suo amore HYAM stava riposando e lui non voleva disturbarla, così si affacciò all’esterno e si accorse che era di nuovo una bellissima notte stellata, una di quelle notti che lo ispiravano ed uscì, per la prima volta completamente nudo all’aperto e respirò, felice e rise e corse e gridò … alla luna, lontana, al tramonto e vide uno strano riflesso di luce sotto la luna e fu curioso e corse, corse verso la luna, per scoprire cosa facesse sembrare la luna così strana, come fosse un sentiero che gli veniva incontro …
Corse spinto da una energia inesauribile e corse chissà per quanto e più si avvicinava più il suo cuore si riempiva di speranza. TALIB non osava credere che tutta la sua vita di sofferenze, potesse trasformarsi, in un tempo così breve e che tutti i suoi sogni e speranze si potessero realizzare in quella notte, ma era proprio così …
TALIB finì la sua corsa accasciandosi nel mare, il mare dolce che UDAY aveva immaginato per lui, nel mare che sognava da sempre e non sperava mai di trovare e che quella notte al culmine di quanto mai si possa essere felici egli aveva finalmente raggiunto!
E cosa mai poteva ancora chiedere di più TALIB, agli déi del suo clan, che UDAY gli aveva insegnato a rispettare e che erano i detentori dei miti che gli antenati gli avevano tramandato e che, attraverso gli insegnamenti del suo vecchio mentore, lo avevano portato fin lì. Cosa poteva chiedere se non di dividere questo suo incommensurabile appagamento con colei che gli aveva aperto le porte della vita: HYAM!
Correre da lei, doveva correre a prendere lei, il suo nuovo amore, il suo futuro, ma prima era necessario chiudere i conti col passato e rispettare la volontà di UDAY: depositare il dono che aveva sempre portato con sé, nella conchiglia sigillata che teneva al collo.
TALIB si avvicinò alla riva dove riconobbe quei teneri fili viventi e li accarezzò, sentì il profumo che alcuni di essi emanavano e le forme variegate che assumevano. Gli ultimi raggi della luna esitavano sulla spiaggia mentre TALIB scavava una piccola buca, poi si tolse la collana e la frantumò per scoprirne il contenuto. Si ritrovò tra le mani delle piccole palline di cui non capiva il significato. Non sembravano pietre, perché la forma era particolare e non c’era con lui UDAY a spiegargli questo nuovo mistero, così si limitò ad eseguire il rituale previsto e mise tutto nella buca che richiuse, vi costruì sopra un piccolo monticello su cui depositò i resti della sua collana, poi fece il rituale in memoria di UDAY, lo ringraziò di tutto ciò che aveva fatto per lui e con un inchino diede l’addio alla sua giovinezza: ora era un uomo, pronto ad affrontare una nuova vita, per sé e per il suo futuro clan.
TALIB si mise a correre per ritrovare la sua HYAM e raccontarle la sua grande scoperta, per il loro futuro, senza più restrizioni e con tutta l’acqua che potevano mai desiderare.
Mentre correva, ritrovava la gioia di tutti quei recenti avvenimenti e il cuore tornava a battere a mille e la voglia di ridere e gridare e saltare e soprattutto ripetere all’infinito quel nome: HYAM … HYAM … HYAM!
Non si rese minimamente conto di quale distanza aveva percorso mentre tornava, così come non sapeva quanta ne aveva fatta per arrivare fino al mare. Era tutto talmente irreale da cancellare la percezione del tempo e delle distanze, non sentiva fatica, né fame, né sete … HYAM.. HYAM … Era l’unico pensiero, ormai era il suo unico pensiero!
In lontananza intravide, finalmente, il loro piccolo accampamento e allora corse ancora più veloce e la chiamò:
- HYAM! HYAM! – E continuava a chiamare e a correre e a chiamare e a correre …
Raggiunta la capanna mobile vi entrò, urlando il nome di lei e ansimando, infine, per la stanchezza improvvisamente sopraggiunta, la cercò in quell’angusto spazio senza vederla più dove l’aveva lasciata. Si girò più volte alla luce del lume, per cercare in ogni angolo, ma HYAM non c’era, com’era possibile, ma forse era solo uscita, come lui, per un qualche ragione, meglio cercarla fuori …
- HYAM! … HYAM! … Dove sei, HYAM!
TALIB ora ansimava in un misto di stanchezza e di timore, come poteva essere lontana, se il suo iglù era ancora lì e dentro c’erano anche i suoi vestiti e tutte le sue cose? …
- HYAM! … HYAM! … Dove sei, HYAM! – TALIB correva tutto intorno, sempre più in ansia, e si allontanò in varie direzioni, per poi tornare e riprovare dalla parte opposta, finché si rese conto che erano in uno spiazzo piano e che non c’era nulla che potesse nasconderla alla vista, tranne forse …
Nella sua mente era sorto uno strano dubbio, mentre guardava verso il lontano orizzonte, l’unico posto dove non aveva guardato era il suo piccolo vecchio guscio sulla sua slitta e stava per girarsi e controllare in quella direzione, quando sentì una specie di ululato, ma non erano i cani della muta … Era la sua HYAM, armata di uno dei suoi picchetti e della sua rozza mazza, che gli correva incontro urlando e con una smorfia agghiacciante in volto. Lo raggiunse, fulminea e gli piantò il picchetto nel petto, travolgendolo e, una volta a terra, con tutta la forza e la violenza di cui era capace, calò la mazza, piantando il paletto nel cuore di TALIB, che non ebbe il tempo di capire e che disse ancora una volta quel nome: HYAM … Mentre il sangue schizzava copioso sul corpo nudo e sul volto di lei, negli occhi quasi spenti di TALIB si formò l’immagine del proprio cuore, strappato dal petto, fra i denti avidi di HYAM!
Tanto tempo prima il vecchio UDAY aveva spiegato a TALIB come, fra i tanti miti del loro clan, ce ne fosse uno, in particolare, che descriveva il destino dello spirito degli individui dopo la morte. Questo mito descriveva come lo spirito rimanesse per qualche tempo accanto al corpo inerte per poi dissolversi anch’esso e tornare alla sua fonte, così come il corpo tornava alla terra.
TALIB forse rimase, come diceva il mito, vicino al suo corpo per un breve tempo e forse poté osservare il proprio corpo, sbranato dall’avida e feroce predatrice HYAM … Forse è possibile che TALIB abbia osservato salire, sul proprio viso inerte, la forza del vento e avvolgere lentamente i due corpi nudi dalla sabbia ed oscurare il paesaggio circostante. In pochi istanti la visibilità era nulla e HYAM ancora freneticamente intenta a divorare le carni della sua preda, che si accorge di non avere alcuna protezione contro il vento sferzante e che tenta di ritrovare il suo rifugio dove ha lasciato i vestiti, ma nulla è più possibile vedere senza protezione, quella protezione degli occhi che era il bene più prezioso per TALIB e che ora vedeva il vento e la sabbia accecare HYAM e ferire la sua morbida pelle e strapparne brandelli sempre più grandi e percuoterla con folate ogni volta più dolorose e laceranti, fino a devastarne le carni e spolparne le ossa, disperdendole ovunque e mischiando quelle del vagabondo con quelle del suo predatore, nel crescente turbinio di sabbia …

TALIB o qualche traccia di lui, forse era ancora presente, in quel luogo, quando, tempo dopo, la tempesta scemò e la luna nella notte illuminò di nuovo il paesaggio e la spiaggia, laddove una vecchia collana spezzata indicava un piccolo rialzo nel terreno. Sul quel piccolo cumulo, una leggera brezza agitava un fiore, diverso da tutti gli altri di quella spiaggia e con un profumo intenso; lontano dalla furia del vento e della sabbia di quel tragico … deserto.



==

Nessun commento: