lunedì 7 dicembre 2009

Il Ruggito Del Topo

Abstract: Lungo l'altopiano del Tibet, ai piedi delle sue grandi montagne, una interminabile escursione, che porta un maestro ed il suo allievo occidentale a compiere un passo in più, lungo l’immensurabile via della conoscenza …

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Sull’autobus sgangherato, che mi portava verso l'altopiano, dopo ore di aereo e treni e altri strani mezzi, mi lasciavo dondolare dai continui scossoni dovuti all’improbabile guida del nostro autista; mi tornavano in mente gli ultimi gesti fatti prima di partire e che forse sarebbero stati gli ultimi della mia vita da europeo.
Prima di partire avevo, tra l’altro, raccolto un po’ di cose di mio padre in una scatola, per lasciarla in consegna ad un caro amico; in cima alla scatola, prima di sigillarne il coperchio, avevo messo la sua foto degli anni migliori, col suo gruppo di amici “frikkettoni”, fatta in Afganistan, insieme ai loro ospiti locali e fornitori del loro più ambito bene: il “nero afgano”; nella foto si vedeva anche un enorme “cilum”, lo stesso che avevo depositato sopra quella foto … Lui, aveva girato, ai suoi tempi, mezza Asia e tutto il subcontinente all’unico scopo di “fumarsi” tutto quello che c’era da fumare. Io, da lui, avevo ereditato l’amore per quel mondo e per le filosofie che quelle terre hanno dato al mondo ed ora, mi accingevo a fare i conti con me stesso …
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Il monastero si arrampicava su una delle cime che emergevano sull’altopiano e dalle sue mura troneggiava dorata l'alta punta dello Stupa. Camminavo ormai da non so quanto tempo e mi chiedevo se, arrivando, avrei trovato un po’ di riposo o sarei subito stato tenuto a seguire i rigidi orari dei monaci.
Entrando all’interno, in attesa di essere ricevuto dal Lama, fui inondato dai mille profumi combinati che quel luogo emanava e … non tutti gradevoli, ma avrei fatto meglio a calarmi nello spirito della cosa, forse i monaci non avrebbero gradito il mio umorismo di città.
Lama Zangpo arrivò nel più assoluto silenzio ed io ne fui colto di sorpresa, egli mi sorrise e mi invitò ad accomodarmi, mi offrì un te che, prontamente un altro monaco mi versò e stette a guardare mentre lo sorseggiavo. Prima che potessi reagire, il monaco inserviente versò qualcosa di oleoso nel tè sussurrando qualcosa, che il Lama tradusse per me, suggerendo con un inchino che il tè sarebbe stato più buono.
Mentre lui mi osservava io soffiavo sul tè, più per allontanare quell’odore repellente che per raffreddarlo. Sapevo che prima o poi avrei dovuto bere, ma avevo l’ingenua speranza che il monaco potesse guardare altrove, per fare finta … Ma d’altro canto, cosa avrei bevuto nei giorni a venire e forse da quel giorno in poi?
E fui colto immediatamente dall’idea agghiacciante di quello che avrei mangiato …
Mi feci coraggio e presi un sorso …
- Tu sei il benvenuto qui, giovane Daoud, è questo il tuo nome vero? Strano nome per un Europeo o sbaglio?
- Grazie. E’ vero non è comune, ma mio padre era un patito dell’Afganistan e scelse il nome in omaggio ad un amico di quel paese.
- Bene, Daoud, quale è il tuo intento nel venire qui?
- Vorrei essere istruito da voi, vorrei essere introdotto alle conoscenze della vostra scuola.
- La nostra è una strada dura, vuoi davvero seguirla?
- Io sono sempre stato affascinato da tutte le cose che mio padre mi ha fatto conoscere e non ho mai potuto conoscerle direttamente, ma solo su libri, foto, racconti e simili. Oggi vorrei confrontarmi con la realtà.
- Che succede se fallisci?
- Smetterò di mentire a me stesso, almeno questo …
- Non sarebbe una buona idea metterti con gli altri monaci nati qui, tu sei occidentale e non sopporteresti la durezza di questa vita …
- Non chiedo privilegi, Lama Zangpo.
- Una strada impossibile non è una strada. Se un occidentale tenta di scalare i monti alle nostre spalle come fa lo sherpa, senza ossigeno, rischia di morire: non è una buona strada. A ognuno i suoi modi. Io ti assegnerò un maestro personale e voi farete un viaggio lungo l’altopiano, durante il quale sarai istruito e se alla fine il tuo maestro dirà che sei pronto, potrai unirti a noi.
- Grazie Lama Zangpo.
- La tua guida sarà il monaco Rinchen, lo troverai domattina pronto per la partenza, alla porta principale.
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La mattina dopo dormivo ancora, quando Rinchen mi venne a cercare.
- Tu vuoi venire o resti qui? Io parto comunque.
- Sono pronto.
- Bene, raccogli le tue cose. Io sono Rinchen e sono stato incaricato di portarti con me.
- Io mi chiamo Daoud.
- Strano nome per un occidentale …
- Non sei il primo a dirlo ...
- E chi è stato?
- Cosa?
- Il primo a dirlo?
- Non importa.
- Oh …
- Mi assegnerai un Kōan (esercizio) durante questo viaggio?
- Che cosa è?
- Come, non … non è così, con l’esercizio e la risoluzione di un Kōan, che l’allievo impara a liberarsi dell’io?
- A si?
- Ma tu sei un istruttore?
- No, io sono il vice cuoco del convento e sto andando a comprare alcuni viveri di cui siamo privi.
- Ma perché mi porti con te, allora?
- Mi serve aiuto, per portare i pesi.
- Ma …
- Coraggio, la strada è lunga.
Io camminavo, seguendo Rinchen, lungo i sentieri esattamente uguali al resto del terreno di quell’altopiano brullo, dietro al quale si ergeva la vista mozzafiato dell’Himalaya e che sembrava destinato ad essere la mia dimora per diversi giorni. Non sapevo esattamente quali sensazioni provavo fra tutte quelle che mi venivano in mente … Mi sentivo preso in giro, ma non era possibile, ci doveva essere una ragione se il Lama aveva messo le cose in quel modo …
- Lama Zangpo mi ha detto, che tu mi avresti guidato. Io non capisco …
- E’ proprio quello che sto facendo, non è forse così? Cammino davanti a te e sono l’unico a conoscere la strada …
- Ma non è questo ciò che intendeva …
- E cosa intendeva, secondo te, Lama Zangpo?
- Pensavo che avrei avuto un istruttore, un maestro …
- Io posso insegnarti a cucinare, se vuoi …
- Ci sono scuole di cucina anche in Europa, senza fare il viaggio fin qui …
- Lama Zangpo sa quello che fa … e tu ti sei rivolto a lui, non è così?
- Si, ma vorrei capire …
- Non si possono e percorrere due strade nello stesso tempo.
- Che significa?
- Devi dirmelo tu …
- Tu pensi che io non sia adatto a questa vita, come il maestro Lama Zangpo?
- Tu sei robusto, se non muori prima, ce la farai.
- Perché Lama Zangpo ha voluto che venissi con te?
- Mi serviva aiuto.
- Ma così cosa posso imparare?
- A sopravvivere in Tibet, per cominciare …
- E’ questa la mia lezione per oggi?
- Pensi di sconfiggere l’io, aggrappandoti ad esso, con l’orgoglio?
- Tu non sei il cuoco, vero?
- No … Il vice cuoco!
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La strada scorreva uniforme, sempre uguale a se stessa ed io cominciavo a risentire della quota e dello sforzo, non avevo mangiato nulla e bevuto ben poco. Rinchen marciava deciso ed io iniziavo a rimanere staccato, poi, con mio grande sollievo, ci dirigemmo verso un gruppo di casupole e Rinchen disse che avremmo chiesto ospitalità presso di loro.
I pastori dell’altopiano erano devoti al monastero e quando si presentavano monaci a mendicare per loro c’era sempre un piatto di riso una tazza e di tè ed un tetto per ripararsi, ma non capitava spesso di avere un occidentale come ospite e la cosa sollevò parecchi commenti, ancor più quando Rinchen disse che si trattava di un discepolo del monastero. Passammo la notte in un fienile ed io la trascorsi quasi interamente a pensare, pensare, pensare … se non superavo nemmeno quella piccola prova mi dissi, andare a far la spesa per il monastero di cui volevo essere discepolo, che speranze potevo avere di ottenere la credibilità necessaria presso il Lama Zangpo? C’era altresì qualcosa di strano il quel monaco Rinchen, che non veniva indicato con il titolo di Lama e che io dovevo considerare come la mia guida, qualunque cosa ciò significasse. Tutte queste cose ed altre affollavano la mia mente, mentre gelavo in quel fienile, su un sentiero sperduto, in quell’altopiano immenso, di quel territorio attanagliato fra due imponenti catene montuose tra l’Asia ed il subcontinente e pensavo quanto sarebbe stato meglio se mi fossi infognato in qualsiasi altro posto con un cilum gigante e la testa piena di infinita gioia.
Fui svegliato da Rinchen che mi portò una calda tazza di quel tè che cominciava ad essere meno peggio di quanto mi era parso all’inizio, specie se paragonato a tutto il resto. Rinchen mi disse di bere che ci saremmo messi in marcia subito. Mentre esaurivo l’intero campionario di smorfie provocate da ogni sorso di quel tè, potevo osservare i piccoli del villaggio correre dietro un pallone di stoffa e pelli e urlare di gioia ad ogni pasaggio. Rinchen si avvicinò e disse che mi sfidava ad una partita a due e, alla mia evidente riluttanza, rispose dicendo che mi dava due gol di vantaggio, facendo al meglio di cinque … mi sembrava di rubare i dolci ad un bambino, rifiutai di nuovo, ma lui insistette e disse che ci saremmo divertiti un po’ prima del lavoro.
La partita sembrava non avere storia, dovetti spiegargli le regole, che non conosceva, mentre subiva tre gol ed ero già in vantaggio. Quando mi apprestavo a segnare il quarto, mi bloccò veloce come il vento e pareggiò, poi segnò non so come altre due volte ed aveva vinto, lasciandomi di stucco …
Rideva come quei bambini poco prima e, quando poi vinse, tutti gli andarono intorno e danzavano intorno a lui e lui intorno a loro ed io non capivo tutto quell’entusiasmo per così poco, ma poi mi resi conto che battere un occidentale al suo stesso gioco era la gran cosa, era come vincere i mondiali, in quel piccolo mondo in cima al mondo …
Riprendemmo la nostra marcia ed io cercai di entrare nello spirito della cosa, perché fino a quel momento avevo continuamente pensato a criticare la situazione in cui mi ero cacciato, ma non era così, non mi ero cacciato in niente, ero venuto in Tibet per scelta, quindi quello era il mio Kōan! Avrei dovuto risolvere quella situazione o rinunciare alla scelta che mi aveva portato lì. Era compito mio capire perché il Lama Zangpo voleva che facessi quello e per giunta dovevo portare a termine il compito assegnato o non me ne sarebbe stato assegnato alcun altro.
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Non so quanto tempo trascorremmo sull'altopiano; la percezione del tempo era troppo offuscata dalla fatica, ma di quando in quando, cercavo di distrami dalla fatica e dal freddo conversando con Rinchen. Le sue risposte erano sempre un misto di ovvietà, pignoleria e profonda, malcelata, saggezza. Nella mia mente non potevo pensare che ci fosse alcunché di casuale nell'agire del Lama o in quello di Rinchen. E mi ripetevo la regola, secondo cui la comprensione di un Kōan era il compito dell'adepto, non la comprensione del comportamento del proprio Maestro e così continuai a cercare il significato di quella situazione, che agitava il mio io, che suscitava il mio orgoglio, che offuscava la mia visione delle cose ...
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- Rinchen, tu sei un monaco come gli altri o stai al monastero solo per svolgere il tuo lavoro di cuoco?
- Io sono il vice cuoco …
- Si, si, va bene, vice cuoco … voglio dire …
- Si, ho capito! Io sono l’ultimo dei monaci e dietro di me ci sono solo quelli come te. Ecco perché siamo qui insieme in questo viaggio. Nessuno sente la mancanza di Rinchen al convento, ma se Rinchen non torna, loro non avranno niente da mangiare …
- Questo mi pare voglia dire, Rinchen, che anche tu sei importante per il monastero anche se sei l’ultimo dei monaci.
- Oh … Si. Tutti i monaci sono ugualmente importanti, anche se non tutti possono essere il Lama o il cuoco: che succederebbe se fossimo tutti cuochi o tutti lama contemporaneamente?
- Rinchen cosa pensi del fatto che il tuo paese abbia perso la sua indipendenza?
- Io non mi occupo di politica.
- No, non intendevo questo, ma tu personalmente cosa pensi?
- Un piccolo territorio non può ruggire contro un gigante. Tu credi che sia un dolore più grande per una piccola nazione perdere la propria indipendenza o per un gigante trovare la propria completezza solo privando altri della loro? Ci sarà sempre per ognuno di noi e per ogni nazione qualcuno più grande contro cui il ruggito del topo lascerà le cose immutate …
- Rinchen pensi che io possa raggiungere il mio scopo fra voi?
- Qual è il tuo scopo?
- La conoscenza … Penso …
- E’ un obiettivo ambizioso …
- Troppo?
- Dipende da quanto sei disposto a impegnarci. Per un occidentale è molto difficile, troppe distrazioni … Ma ci può essere una strada anche per voi, credo …
- Stiamo andando da qualche parte, Rinchen?
- No. Torniamo indietro.
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Quando rientrammo al convento persi di vista Rinchen, Lama Zangpo mi consentì di partecipare alla vita del monastero per fare esperienza della loro vita e capire quale percorso io volessi intraprendere. La loro vita era effettivamente molto dura, ma avevo l’impressione che la maggior parte di loro non la subisse con troppa difficoltà, io invece non mi sentivo di poterla sopportare a lungo, né era l’idea che avevo in partenza.
Chiesi a Lama Zangpo che fine avesse fatto Rinchen, lui mi chiese di seguirlo e quando arrivammo in un ambiente vicino lo vidi a pochi passi. Lama Zangpo mi disse di avvicinarmi a lui e quando lo feci mi accorsi di essere di fronte ad uno specchio, cercai di cambiare prospettiva, perché non riuscivo a capire la situazione, ma non c’erano dubbi. Rivolsi lo sguardo a Lama Zangpo, rimanendo in attesa di un chiarimento ed egli disse che dovevo accettare quello che vedevo, non c’era altro da dire …
Ci volle molto tempo prima che io potessi riprendermi, Lama Zangpo si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio:
- Sono stato io la tua guida e tu sei il maestro di te stesso. Ora è finito il tempo in cui altri ti guidano e dovrai continuare da solo, dovrai aprirti una strada tua ed essere pronto ad affrontare il futuro …
- Ma in tutto questo, che mi rende sicuramente felice, manca l’elemento più importante per me. Quello per cui mi sono imbarcato in questa impresa.
- Quale?
- La tecnica che permette a voi di meditare, ottenendo risultati che io non mi sogno lontanamente e in questo non potrò mai essere maestro di me stesso Lama Zangpo.
- Mediterai con noi, questo ti aiuterà.
- Basterà, questo?
- Basterà a fermare il flusso dei pensieri, che impedisce a te di riuscire. Sarà la forza della meditazione collettiva, in un luogo protetto come questo, la risposta che cerchi …
- E’ così semplice?
- Tutto ciò che è vero, è semplice.
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Non so se tutte le loro sedute di meditazione erano come quella a cui stavo partecipando, ma non avrei mai pensato lontanamente, che si potesse arrivare ad un tal punto di concentrazione ed unità. All’inizio continuavo a rincorrere i più disparati pensieri, il difetto più classico dei principianti e non, al punto che alcuni di noi avevano battezzato “dissertazioni sulla tappezzeria” quel problema: quasi insormontabile per chi inizia la pratica della meditazione.
Ma in quell’ambiente, come per magia, come per una mistico massaggio mentale, il suono dei mantra, reiterato e suadente, provocava la cancellazione, lenta ma inesorabile di ogni singolo rivolo di pensiero.
Quel grave “OM” ripetuto ritmicamente e diluito in un ad libitum interminabile, arrivava all’orecchio e penetrava nella mente ed ogni idea vagante veniva levigata e ad ogni ripetizione risultava più effimera, fino ad essere spianata e scomparire dalla mente. Ancora qualche pensiero, rifletteva l’io che stava meditando e disturbava il silenzio perfetto che sembrava così vicino.
Improvvisamente il silenzio perfetto evidentemente si instaurò e non vi fu più alcun individuo. La comunità unita, produceva un suono perfetto sull’onda del quale le immagini fluirono in una specie di andamento continuo che riempiva lo spazio, tutto lo spazio possibile … Non vi era un ordine o una disposizione di quello che si andava componendo, in quello spazio mentale comune. La presenza di mondi molto diversi tra loro, mondi immensi e popolati di forme di vita ancora più ricche di quanto l’intera storia della terra abbia visto. Mondi che collidono e si perdono per sempre ed altri che invece si uniscono, producendo nuove possibilità evolutive. In mezzo a tutte queste visioni, una sola verità accomuna ogni manifestazione della natura: l’illimitata differenziazione, l’inarrestabile varietà di nuove forme e il tempo illimitato per realizzarle. Niente ci può dare l’idea esatta della minutezza del nostro pianeta, niente può rendere giustizia alla potenza che l’ha generata. Nel rallentare della litania di ”OM”, la coscienza riprendeva la sua dimensione naturale nel piccolo io pensante, che ritrova le sue piccole cose quotidiane ed in questo modo si ritrova, rigenerato ed arricchito da una indicibile esperienza.
Tornai in me, ritrovandomi seduto in mezzo a tutti quei monaci, che avevano smesso di recitare il mantra e mi passò accanto Lama Zangpo, si fermò e chiese, col sorriso sulle labbra:
- Allora, era semplice?
- Incredibilmente, semplice …
- Naturalmente, semplice!
Lama Zangpo si allontanò e non potei fare a meno di riflettere sul suo popolo, privato della libertà, da un gigante incapace di comprenderli e troppo occupato a ruggire … Ma dopo aver visto tutti quegli infiniti mondi, chiunque ruggisca quaggiù, può a mala pena emettere … il RUGGITO DEL TOPO !

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