mercoledì 27 giugno 2018

L’IO IPERTROFICO, ovvero una breve storia di come siamo giunti ad essere “noi stessi” …





L’io ipertrofico (checché ne dicano gli “esperti”) non è che l’io in quanto tale, vediamo perché.
Sarà stato al momento del passaggio tra la vaga consapevolezza umana dei Neanderthal a quella più marcata dei Cro-Magnon, oppure quando dalla pacifica organizzazione sociale matriarcale si è “evoluto” l’aggressivo stile di vita patriarcale, o in qualche altro sottile passagio organizzativo dei singoli gruppi sociali umani … fatto sta che gli individui, che fino ad allora erano semplici attori di una commedia che si giocava tutta all’interno del teatro della consapevolezza di “specie”, hanno iniziato a identificare nella “soggettività” il centro intorno al quale stabilire nuove regole di sopravvivenza e di predominio: la nascita dell’io, non più come comprimario, ma come mito nascente del potere e della sopravvivenza “ideologica” del medesimo. Fino ad allora, il gruppo (e in particolare, la lotta per il “possesso” delle femmine) era stato l’incarnazione della leadership e del privilegio di tramandare i propri geni, in nome dell’intera specie; ma in qualche misterioso momento, nella “mente” di alcuni “capibranco” si deve essere manifestato un nuovo “retropensiero”, o una qualche specie di “super-consapevolezza”, in seguito al quale il privilegio del comando identifica la “qualità” dell’essere “singolarmente” migliore degli altri. Questo primo “passaggio” porta alla nascita dell’IO: esisterà da quel momento in poi l’autoreferenzialità del potere fine a se stesso e la possibilità di tramandarlo ai posteri per garantirne la sopravvivenza. L’io impara a comandare non solo sui suoi pari ma anche sulla “specie”.
Il patriarcato diviene lo strumento per una patrilinearità forzata e di una innaturale protezione dei privilegi acquisiti: l’IO si ritaglia uno spazio “inusitato”nella realtà sociale e uno status che prenderà lentamente il posto di ogni altro “valore” conosciuto fino ad allora. Col tempo l’intero gruppo, e in seguito la specie in toto, tramanderà culturalmente un’entità “personale”, e di riflesso una “soggettività sociale”, che si riveleranno solo il frutto di una pura “invenzione” psicotica, appunto l’IO … e di riflesso, appunto , quello che alcuni psicologi del secolo scorso chiamarono il super-IO).
Queste “strutture” puramente emergenti, oggi ci sembrano pienamente scontate e in qualche modo “fisiologiche”, ma non lo sono, esse in realtà, non sono che “sovrastrutture”, acquisite in tempi antropologicamente recenti: come giustifico queste conclusioni? … Per il momento, la prova più evidente sono le malattie mentali e il crescente disagio psicologico tipico proprio di quella dimensione mentale che chiamiamo “io”. In sintesi, l’io si ammala con la progressiva “emersione” della sua inutilità ultima: La storia delle religioni, prima, e lo sviluppo della psicoterapia, poi, ci dicono quanto ciò sia vero e di quanto bisogno “esso” (l’io in quanto tale!!) abbia di ridimensionarsi e di ritornare alla sua funzione originaria di mero “segnaposto” nella rappresentazione mentale della realtà, al solo scopo di meglio comprenderla …
Per  capire tale concetto, dobbiamo partire dalla premessa fondamentale per cui: “ogni percezione è il risultato di una mediazione mnemonica tra la visione (e gli altri sensi in genere) sensoriale e  la ricostruzione di una immagine riferita ai ricordi, che una parte del cervello presenta a un’altra parte” … Ovvero, per capire quello che “vediamo”, una parte della nostra mente (una rappresentazione di noi stessi: l’io) deve poter riconoscere l’alterità di un’altra parte (e cioè la rappresentazione di qualcosa che deve essere collocata “altrove” e separata da sé: il mondo “la fuori”); come potremmo altrimenti avere una vita interiore, tout court? …
E’ importante ribadire come NON ESISTA ALCUNA “PERCEZIONE DIRETTA” nella nostra mente: OGNI SINGOLO EVENTO NON E’ CHE UNA RICOSTRUZIONE MNEMONICA, BASATA SU STIMOLI ELETTRICI, DI CIO’ CHE NOI SIAMO PORTATI A CHIAMARE REALTA’, sulla base di un ancestrale condizionamento psico-sociale. Anche ammettendo che una realtà “oggettiva” esista del tutto, “noi” non se siamo direttamente coinvolti, ma semmai ne viviamo un “riflesso” culturalmente mediato.



L’io ipertrofico (cioè l’io in quanto tale) è la malattia del secolo … da secoli: alcune religioni sono giunte a questa conclusione molto tempo fa, a differenza di una scienza, la Psicologia, che pur giungendo vicino alla medesima comprensione, ha rinunciato a farsene carico fino in fondo, a vantaggio del conformismo e del puro mestiere (leggi: psicoterapia cognitivo-comportamentale). Purtroppo anche quelle religioni che a suo tempo colsero in pieno il problema di fondo della mente umana, si sono lentamente “rinormalizzate” e sono rientrate nell’alveo della pura retorica ecumenista.
Nella mitologia buddista, per esempio, si racconta che all’interno della comunità degli adepti del Maestro si potesse discutere di tutto, ma che ogni qualvolta le domande vertessero sul significato ultimo del concetto di “nirvana” il maestro si chiudesse in un mutismo adamantino, appunto il “Silenzio del Buddha”. Ma cosa si nascondeva in quel silenzio misterioso? … Forse, e dico forse, l’intuizione del Maestro era che non sarebbe servito a niente fornire con le parole nient’altro che un ulteriore sostegno all’io dei suoi discepoli; invece che aiutarli piuttosto a destrutturarlo: nirvana è lo stato in cui l’io non conosce “separazione” e di conseguenza non ha più bisogni; cessa così il desiderio e con il desiderio la sofferenza … Il buddismo non ha bisogno di altre parole, che non sono altro che il nutrimento dell’io. Ma poi, purtroppo, l’io ha trovato nuovi escamotage per risorgere e oggi il buddismo non è che una delle tante religioni.

Non c'è il rischio che la remissione dell’io possa portare l’umanità allo stadio in cui correva il rischio di soccombere ad altre specie? … Fortunatamente, Sì.


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(*) Qui non esprimiamo valutazioni sulla scienza e sul lavoro di altri, ma esprimiamo (non primi e non unici) la convinzione che il disagio mentale non sia una malattia individuale, ma il sintomo dell’insostenibile pressione sociale che noi tutti subiamo e che alcuni somatizzano in modo più o meno deleterio. In qualche misura, in realtà, tale stato di cose affligge più o meno marcatamente tutta la popolazione … E la conseguenza di ciò è che dobbiamo imparare a smascherare il mito della malattia mentale (oggi in cui ricorrono i 40 anni della Legge Basaglia **), che serve unicamente per “consolare” i cosiddetti normali, ai quali viene concesso di “curarsi” autonomamente grazie all’alcol, al fumo, alle droghe varie, alla depressione e al suicidio, che vengono considerati, in fondo, comportamenti abbastanza “normali”. Sull’idea di normalità la nostra società ha costruito la maggior parte dei suoi (patetici) miti.

(**) Franco Basaglia, 1924-1980; psichiatra e promotore della riforma psichiatrica in Italia.


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PS. Se vogliamo prendere in considerazione un’analisi più approfondita sull’io, che ci spieghi la citata idea di “remissione” e di cosa ciò comporti in termini reali, possiamo dire che: la “coscienza” non è l’io, “rendersi conto del mondo” non è l’io … L’io non è che l’illusione emergente dall’osservazione “soggettiva” del mondo ed è anche ciò che ne può distruggere la semplice bellezza, la possibilità di osservare un particolare punto di vista sull’evanescente mondo e  proiettarlo al di “fuori di noi” … E invece si tratta sempre e solo di “noi stessi”, ma da due prospettive solo apparenti, prodotte dalla struttura mentale che ereditiamo dal nostro lignaggio: il punto è che se pure questo sistema si sia sviluppato grazie alla selezione naturale e sebbene esso sia servito a garantirci la sopravvivenza come specie per millenni, da questo non consegue che ci sia posto per un ruolo “puro” dell’io. Se non ci fosse l’io, non ci sarebbe un soggetto in grado di individuare il mondo come entità separata e autonoma, ma l’inverso non si applica, il mondo non c’è (almeno non nel modo prodotto dalle percezioni), non è affatto là fuori, anche questa e un’illusione.
La remissione dell’io non comporta una sconfitta della nostra specie a vantaggio di alcun “altro”: tutto questo è ancora e solo “proiezione” allucinatoria della soggettività egoica.




Senza l’io, non cambierebbero le cose, ritornerebbe semmai la possibilità (e non più di questo) di una percezione unitaria della “realtà”; o magari la possibilità di sentire la “realtà” con tutti i sensi e con un’equanimità priva di paura e capace di cogliere quindi TUTTE le trasformazioni in atto (in una parola: il “caos puro”), istante per istante, con la nuova consapevolezza che la realtà è, per così dire, un fiume in corsa verso un mare lontano, nel quale le costanti trasformazioni non danno il tempo per costruire dighe, per mettere su civiltà, per pensare al futuro, per illudersi di poter cogliere una qualche verità definitiva … un fiume ideale che ci lasci attoniti, abbacinati, incapaci di esprimere parole, totalmente partecipi dell’inarrestabile trasformazione di tutto e di ogni cosa … sopraffatti e straordinariamente … felici. Al prezzo di ... 

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PS2. Ovviamente la felicità non può più essere lo scopo di una vita, oggigiorno (checché ne dica la costituzione USA), ormai è troppo tardi per questo. L’evoluzione della nostra specie è una cosa, mentre l’evoluzione della nostra società ha preso strade proprie, del tutto autonome e pilotate da esigenze che col benessere degli individui e con la ricerca della felicità hanno poco o punto a che vedere … Se l’io (ipertrofico) ha preso una brutta strada, la sua trasposizione collettiva, la società, non può che riprodurre tale deviazione in grande: la società manifesta tutte le storture di tale io e le trasforma in sistema; un sistema demenziale che si fonda su una patologia elevata a mito.
In una situazione di questo tipo chiunque (paradossalmente) fosse anche “normale” (o quasi) sarebbe non solo svantaggiato ma destinato, prima o poi, a soccombere.
Ovviamente, per poter sostenere un’individualità artificiale (quale quella basata sul tipo di “io” di cui stiamo dicendo), occorre una collettività improntata al mito dell’io come statuto fondamentale della realtà: tutte le devianze dell’io sono inglobate nel comportamento sociale e di conseguenza in quello politico … Ed è così che le società e i popoli si trasformano in macchine da guerra per la protezione dei principi dell’autocompiacimento e dell’autoesaltazione egoici.
Il mito del progresso è l’arma che da tempo spinge la nostra società verso un destino di caos inevitabile, ma del tutto artificioso: il caos che ci fa tanta paura e che pertiene alla natura dell’universo, paradossalmente spaventava l’io al punto che l’unico modo per difendersene è stato un abominio di caos creato artificialmente e altrettanto spaventoso … La nostra attuale società, così tanto elogiata, così tanto enfatizzata, così superiore a quelle del passato, così allegramente protesa a perseguire il suo ideale di progresso, da non vedere che è proprio ciò che le sta scavando la fossa …




Il paradosso ancora più triste è che l’illusione arriva al punto da farci credere che il problema siano l’inquinamento, la lenta decrescita della biodiversità, la sovrappopolazione, e via dicendo … Ma questi sono solo i sintomi finali, i rantoli di un morente che non conosce le cause del proprio male … Quel male che si nasconde nella nostra mente e nella ormai cronica incapacità di percepire il mondo per quello che è … ovvero che “era”, prima che ci illudessimo di sapere tutto, prima che l’io diventasse il centro dell’universo.
Quale senso avrebbe, alla fine, la creazione di questo “caos artificiale”? … Il solito: il potere, il controllo, la necessità di trovare un’autorità superiore con una scusa plausibile; ma questa volta potrebbe essere l’ultima, se a prendere il controllo fosse un sistema autonomo; un sistema concepito per renderci la vita più facile e più sicura … No, non fraintendetemi, non si tratta del Grande Fratello … Macché! …

“Noi, a differenza di altri governi, staremmo pensando a qualcosa di decisamente amichevole, vicino alle necessità di ciascuno e di tutti, severo quando si tratta di proteggerci dalle minacce incombenti, ma giusto e compassionevole con coloro che rispettano le regole … potremmo dire ... se vogliamo rimanere in metafora, un … Grande Cugino.”


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martedì 19 giugno 2018

La sai l’ultima sul multiverso? … (che sia la … FINZIONE d’onda?)





Tutto mi sarei aspettato, tranne che sentire battere il martello sull’ultimo chiodo, che sigilli la bara della cosiddetta teoria del multiverso, proprio da uno dei più acuti fisici teorici dei nostri giorni …
In una ricca conferenza sulla natura quantistica dell’universo, non dico chi (così se ho capito male è e rimane solo colpa mia), sostiene che fra le tante debolezze dell’ipotesi in questione, a lato della sua totale incapacità predittiva, c’è anche la più devastante fra tutte e che si configura come di seguito cercherò di rendere con – le semplici - parole che sorgono dalla mia personale comprensione di quanto ho udito:

Come rapida premessa, ad uso dei meno avvezzi, ricordo che la cosiddetta teoria del multiverso (da quanto ho potuto capire dal mio modesto osservatorio) vorrebbe considerare l’esistenza non del solo nostro universo, per capirci quello che noi comuni osserviamo ad occhio nudo ma anche lo stesso che l’astronomo classico, fin dai tempi di Galileo, potesse osservare coi telescopi, bensì la “necessità” che vi siano infiniti universi alternativi e coesistenti in dimensioni aggiuntive. La ragione fondamentale – se non la sola - per tale deduzione (dato che di osservazoni non se ne parla proprio!), è da ricondurre alla natura quantistica dell’universo stesso: si dice che ogni qual volta che venga presa una decisione operativa è inevitabile (in termini quantistici) che l’universo prenda entrambe le strade, sdoppiandosi e producendo, al fianco dell’universo di partenza, uno nuovo in cui gli eventi seguono gli sviluppi dettati dalle conseguenze della scelta che nel primo non è stata prescelta. Seguendo questo metodo è ovvio che gli universi si moltiplichino all’infinito, in breve tempo!!!
Per quanto, questa soluzione sembri inevitabile in un’ottica rigidamente matematica, non tutti, fra gli stessi scienziati,  ne condividevano i risultati, per le ragioni più disparate ed io, nel mio piccolo, in mancaza di altri mezzi, perché la consideravo idiota … a naso.

Capisco che questa mia irriverenza possa a molti apparire pretenziosa, nei confronti di quei fior fiore di fisici che l’hanno formulata, ma non è così: tutto quello che di buono so viene da loro (da tutti loro!) e di mio c'è solo la curiosità e l’avventatezza del principiante …

In realtà, l’attacco più feroce e più devastante a questo concetto di multiverso è frutto di alcuni dei loro stessi colleghi e lo è in quanto mina alle fondamenta il ragionamento che sta alla base dell’idea stessa.

Esitono due modi di considerare l’universo: la visone classica (Newton, Einstein, ecc.) e la visione quantistica (Susskind e molti altri). Secondo la visone classica, l’universo risponde prevalentemente alla Relatività ed alle osservazioni astronomiche che - per la maggior parte - la confermano; mentre secondo l’impostazione quantistica, in ultima analisi, finirà per emergere come l’intero universo – così come il mondo subatomico – risponda alle più fondamentali leggi della meccanica qualtistica (in qualcuna delle sue varianti o in più di una …).

E’ quindi evidente come sia basilare la distinzione fra queste due impostazioni di fondo per capire di cosa stiamo parlando. Ed ecco che il nostro conferenziere scaglia il suo dardo avvelenato …

Nella formulazione della meccanica quantistica l’universo NON ESISTE IN ALCUNA FORMA DEFINITA fino a quando non venga effettuata una specifica osservazione da parte di un osservatore fisico (per esempio uno scienziato che effettua un esperimento materiale sulla radiazione, o sulle particelle di materia) … Dunque, l’universo nel resto del tempo è solo un’indefinito ammasso caotico di fluttuazioni quantistiche, inquadrabili unicamente nella cosiddetta “funzione d’onda”.




Se le cose stanno così (e stanno così!), allora la visione del cosiddetto multiverso, pieno di bolle cosmiche ben sistemate nelle apposite caselle dimensionali, assomiglia fin troppo ad una visione TRAGICAMENTE  "classica" delle cose …

Chi mai potrebbe osservare quantisticamente l’intero universo (e men che meno un’infinità dei medesimi!!) senza violare i presupposti che la meccanica quantistica impone? …

Secondo il nostro conferenziere, nell’impostazione quantistica vi può essere solo UNA “storia classica” che ci pertiene e che emerge dal caos quantistico ed è quella che scegliamo di osservare con i nostri esperimenti e in ultima analisi col nostro vivere come esseri senzienti … Tutte le altre “storie” sono ectoplasmi illusori che emergono TRANSITORIAMENTE nei calcoli, ma come spesso accade appunto nei calcoli (pensate ai “riporti” nelle moltiplicazioni) sono solo effimeri prodotti utili solo a pervenire al risultato utile che effettivamente ci interessa e dal quale dipenderanno le nostre VERE decisioni.

Ora, sarà pur vero che definire idiota l’idea di multiverso sia un po’ avventato, ma che dire allora di chi l’accusi d’essere un … CLASSICO …?


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PS. Un esempio di come sia possibile affrontare un argomento cosmologico servendosi dei due opposti metodi succitati è il diverso approccio che essi hanno rispetto all’origine dell’universo.
Come quasi tutti ormai sanno, la teoria del BigBang (BB) suggerisce che tutto abbia avuto inizio (fatte salve tutte le varianti e le cautele del caso) da una specie di esplosione dell’energia primigenia … Tuttavia esistono problemi irrisolti che impediscono una spiegazione plausibile delle origini di tale concentrazione di energia.
Essendo la Relatività Generale (RG) alla base della teoria del BB, anche quest’ultima si presenta come una teoria di tipo “classico”; e siccome le equazioni della RG collassano al momento del BB e non sono in grado di giustificare ciò che lo abbia causato anche la BB risulta incompleta.
Per poter superare queste limitazioni, occorrerebbe disporre di una teoria unitaria - l’ipotizzata Gravità Quantistica (GQ) – che purtroppo non esiste ancora – in grado di unificare RG e meccanica quantistica (MQ): il motivo di ciò è che solo la MQ, si ritiene, potrebbe rispondere alle specifiche problematiche, che si presentano in condizioni di energia estremamente concentrata in dimensioni spaziali infinitesimali, quali quelle tipiche del BB.
In mancanza di una definitiva teoria GQ, l’unica possibilità di studiare gli istanti immediatamente prima e dopo il BB è quella di procedere per tentativi ed approssimazioni. Questo compito è in corso di svolgimento da parte di una gran quantità di fisici teorici e delle loro comunità di studenti, ognuno dei quali procede seguendo un’infinità di possibili ipotesi di lavoro, molte delle quali finiranno necessariamente per rivelarsi dei vicoli ciechi, senza che questo debba sminuirli o essere considerato a priori inutile.
Nessuno può in effetti sapere quale (o quali) delle molte strade percorse potrà portare al successo, non resta che fare una scelta soggettiva … ed ecco la mia:
La questione di fondo è come sia potuto iniziare tutto: è vero che c’è stato il BB, ma la presunta concentrazione di energia che ne è all’origine in che modo la si può spiegare? … La RG non è in grado di fornire una risposta congrua ed per ciò che – come per i Buchi Neri (BN) – si fa ricorso al noto escamotage di postulare la presenza della cosiddetta “SINGOLARITA”. Una singolarità esprime sinteticamente la fine del campo di applicabilità di una teoria, nella fattispecie parliamo della RG, che fallisce ogni qual volta si verifichi una concentrazione di energia/materia tali da deformare lo spaziotempo all’infinito, ed è appunto questo il caso dei buchi neri in genere e del bigbang. Ovviamente, la singolarità cosmologica non è una spiegazione e richiede quindi l’introduzione di metodi matematici alternativi per tentare di fornire una spiegazione lineare del passaggio dal NON UNIVERSO a quello che chiamiamo il NOSTRO UNIVERSO e che procede dal BB in poi … come dire: che cosa c’era prima? … E che cosa può aver scatenato il putiferio da cui tutto è emerso? …
Perché la MQ – che si occupa precipuamente del mondo subatomico – dovrebbe poterci fornire un contributo?
Nella stessa conferenza di cui ci siamo occupati più sopra, è stata presenta una ipotesi di lavoro molto stimolante.


Anche nella teoria del BB è prevista una fase iniziale dell’universo in cui i fenomeni quantistici hanno un ruolo fondamentale, tuttavia essi vengono presi in considerazione per spiegare ciò che accade in universo che è già il nostro.
Esiste una possibilità che alcuni aspetti della MQ, che oggi vengono impiegati per spiegare la natura dell’elettromagnetismo (EM), possano ispirare anche soluzioni applicabili all’origine del cosmo.
La teoria quantistica che spiega come interagiscono gli elettroni (QED = elettrodinamica quantistica) ci dice che essi, come tutta la materia sono il prodotto di campi sottostanti, dai quali le particelle possono emergere spontaneamente – o a causa di interazioni tra particelle esistenti. Il campo elettronico è la fonte da cui spontaneamente possono emergere coppie particella/anti-particella, ovvero elettrone/anti-elettrone (e- / e+). La ragione di ciò è riconducibile alle fondamenta stesse della MQ e alle “per niente classiche” proprietà del modo subatomico: il principio di “indeterminazione” di Heisenberg stabilisce la natura appunto indeterministica della realtà fisica ultima: i campi non stanno mai fermi, “fluttuano” permanentemente tra minimi e massimi, seguendo leggi statistiche, invece delle a noi più familiari leggi termodinamiche, che sono deterministiche, cioè massimamente “prevedibili”.
Per nostra fortuna, quando mettiamo in moto l’auto, il più delle volte, possiamo seguire una procedura prefissata che ci permetterà di guidare fino alla nostra destinazione prescelta … ma se il nostro mondo quotidiano fosse quantistico/indeterministico, potremmo mettere in moto e veder sparire l’auto, sostituita da una lavatrice o da un ferro da stiro al calor bianco … e ogni stranezza del genere …
E’ proprio quello che accade continuamente a livello subatomico, le particelle vanno e vengono e non secondo traiettorie  simili a bocce da biliardo, ma come schegge impazzite, fiondate a caso in ogni direzione e spesso possono sparire nel “nulla” e altrettanto facilmente dal “nulla” rispuntare quando meno te lo aspetti … Questo apparente caos è comunque basato su leggi solide e ormai ben codificate, solo molto diverse da quelle a noi familiari nel mondo del nostro quotidiano: tali leggi escludono la certezza (classica) e la sostituiscono con la probabilità (quantistica).
Dunque, nessun stupore se improvvisamente una coppia elettrone/anti-elettrone dovessero comparire, come dal “nulla” davanti a noi, durante un esperimento scientifico: è possibilissimo, ma non per un qualche strano miracolo, bensì perché in MQ non esiste il “nulla” come lo intendiamo “classicamente” … Ogni luogo, ogni minimo spazio è sempre pregno di tutti quei “campi” di cui dicevamo e che rappresentano appunto ciò che comunemente definiamo spazio vuoto e nulla. Ovunque, l’intero universo è pervaso da una miriade di campi, ognuno dei quali è in grado di supportare delle proprietà specifiche e una scala di intensità o densità proprie, nonché di manifestare vibrazioni particolari, in grado di apparire a noi come particelle materiali o come radiazioni nella varie possibili frequenze dello spettro EM.
Una delle caratteristiche più sorprendenti di questo stato di cose è che, nel caso specifico del campo elettronico, una coppia e-/e+ può “sparire” all’improvviso, così come all’improvviso può “apparire”: ma non nel “nulla” o dal “nulla”, bensì, dal o nel proprio campo sottostante, che essendo invisibile può essere confuso col vuoto o col nulla, a occhio nudo ...
Si tratta semplicemente dell’incostante e perenne oscillazione del campo elettronico che può aggiunge o sottrarre energia alle particelle, provocandone la scomparsa o l’apparizione in modo solo apparentemente inopinato. In tutti questi eventi valgono comunque i principi basilari della fisica e l’energia non può mai essere distrutta, né creata, ma solo trasformata.
Se guardiamo la parte destra  della nostra figura, abbiamo proprio un esempio di questo processo: una coppia e-/e+ si manifesta in conseguenza di un eccesso di energia in un determinato luogo e con ciò l’equivalente quantità di energia è stata sottratta dal campo elettronico sottostante in quel punto, ma noi vediamo solo le particelle materiali, mentre ciò che accade a livello di campi può sfuggirci. Si noti, come ogni evento di creazione di materia debba avvenire in coppie di carica elettrica opposta, questo è un altro esempio delle speciali leggi della MQ: la trasformazione dell’energia in materia (secondo la famosa equazione E = m c2) e viceversa deve rispettare la legge di conservazione della carica elettrica, per la quale nessuna valore di carica può andare distrutto, né creato, ma solo trasformato.
Abbiamo quindi nello schema l’esempio di come gli elettroni possano manifestarsi materialmente a partire dall’energia pura a seguito di un processo puramente statistico che però deriva da una proprietà intrinseca preesistente.
E’ possibile che in modo simile l’universo, nelle sue fasi iniziali sia in uno stato di densità di energia particolare per cui, in uno spazio molto minuscolo, le fluttuazioni di un qualche campo fondamentale possano portare alla comparsa di particelle di materia / anti-materia e che a seguito di processi vari (che qui bypassiamo) da questi si sia poi sviluppato il BB e tutto quanto ne segue? …

Con questo, non pretendo di aver esaurito la spiegazione; ho solo voluto buttare qualche idea sul tavolo per stimolare l’appetito di chi mi legge … Ma spero di aver tracciato le linee di come l’infinitamente piccolo sia sempre più inestricabilmente legato all’intero cosmo, nella ricerca della soluzione dei misteri che rendono la fisica dei nostri giorni così interessante e ricca di sorprese.


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PS2   E’ sufficiente? … Possiamo ancora procedere oltre? … Ci siamo prospettati un modo per spiegare il BB, ma possiamo fare un passo oltre? … Le domande non cesseranno mai, per ognuna che riceva la risposta altre ne sorgeranno, è inevitabile … Esiste sempre qualcosa che va al di là della scienza e che pertiene alle cause ultime.
E’ possibile chiedere alla scienza un appiglio in questa direzione? … Come altre volte, Einstein ci suggerisce una via, quando accenna alla dialettica tra scienza e metafisica come trampolino per superare le impasse … E’ importante cogliere la sfida di trovare la causa ultima, la causa non causata di antica memoria, per non rimanere nel limbo di un universo troppo infantilmente meccanicistico, troppo ipnotizzato degli epifenomeni per cogliere sia l’insieme, sia  ogni sfumatura della realtà in tutta la sua “magica” complessità …
Che cosa si intende per meccanicismo infantile? … Diciamo che ci serve un passo verso l’età adulta, nell’osservazione del cosmo: torniamo ad un esempio già sfruttato in passato da me, ma di grande effetto. Ripensiamo al mito di Frankenstein e al suo significato: le parti per quanto accuratamente selezionate e ricomposte non possono affatto – a differenza di quanto accade nel romanzo – produrre la vita. Nessun anatomopatologo si farebbe venire fantasie del genere, ma in quei tempi, in una società impregnata dal mito meccanicistico si potevano avere certe tentazioni, almeno nella fantasia romanzesca. Oggi, più semplicemente sappiamo come sia possibilissimo e perfino facile creare mostri e mostriciattoli, basta ricorrere all’ingegneria genetica … Ma questa è tutta una’altra storia.
C’è una bella differenza comunque tra ricomporre pezzi di cadaveri e dargli una bell scossa e progettare nuove entità biologiche da implementare su basi genetiche, anche se il risultato finale dovesse essere simile …
Quello che ci interessa qui invece è una forma mentis: non posso parlare per le nuove generazioni, ma ancora ai miei tempi la scuola ci inculcava una mentalità tipicamente meccanicistica, per la quale “smontando e rimettendo insieme i pezzi” si può capire come funzionino le cose, salvo poi trascinarsi dietro uno strano fantasma che ci tolga dagli impicci e che gergalmente chiameremmo il “deus ex machina” … Ed ecco servita la frittata! … Non mi stupisce la fatica che ho fatto per liberarmi di certi pregiudizi e poter ragionare con mente un po’ più aperta.
Le macchine funzionano perché ci siamo noi “fuori” (ex machina) a farle funzionare a nostro beneficio, ma nessuna macchina ha MAI, e ripeto MAI, potuto realizzare il “sogno” del MOTO PERPETUO: ecco il punto!
Il meccanicismo trova il suo limite nella separazione tra la macchina stessa e il suo creatore/utilizzatore, la sua causa prima.
Di conseguenza, la nostra impostazione mentale ci porta a considerare l’universo in termini delle sue parti, sommando le quali dovremmo giungere a capire l’insieme … ma come per la biologia, il tutto è più della somma delle parti: il cosmo è più simile ad un organismo che ad una macchina e quindi si finisce per perdere di vista quel “quid” che distingue il “mostro” dall’essere vivente.
Detto in altro modo, quando osserviamo l’universo con gli occhiali del nostro pregiudizio meccanicistico, finiamo per esaltare gli aspetti “luminosi” e per trascurare quelli “oscuri” …
Se vogliamo fare un passo aventi, occorre soppesare ciò che osserviamo in base a parametri diversi dal luccichio delle luci: cosa notiamo osservando di notte il firmamento infinito? … Esso è buio e questo fa risaltare ancor più le scarse luci che lo punteggiano, non è così? …
E c’è una ragione per questo stato di cose: ciò che abbonda oltremodo nell’universo è il cosiddetto spazio vuoto (o spazio interstellare); e come mai allora ci preoccupiamo tanto di osservare le stelle ed i pianeti?
Se quello che prevale è il vuoto, è necessario dare una spiegazione del perché la materia e la radiazione, che tanto ci sta a cuore osservare, stiano lì, appese nel nulla, non si sa a fare che … Che spiegazione possiamo dare? …



Ancora una volta ci viene in soccorso la scienza dell’infinitamente piccolo, ma questa volta in una forma più sofisticata, rispetto alla già citata meccanica quantistica (MQ), e cioè la “Teoria Quantistica dei Campi” (o QFT, usiamo in questo e in alcuni altri casi e per comodità gli acronimi in lingua inglese, che sono anche più universali).
La QFT è stato il primo passo verso l’unificazione della relatività con la meccanica quantistica, ed ha avuto successo solo in parte, in quanto è stato finora possibile unificare solo la Relatività Speciale (RS), dovendo lasciar fuori, per il momento e date le difficoltà insormontabili, la già citata Relatività Generale (RG): questo significa che non abbiamo ancora una spiegazione quantistica per la “gravità”; ma in compenso possiamo ragionare quantisticamente sulle nozioni basilari della relatività: l’equivalenza tra massa e energia (leggi E = m c2) e il concetto di spaziotempo einsteiniano al posto dei concetti di tempo e di spazio assoluti della meccanica newtoniana/classica.
Quale vantaggio ci offre dunque la QFT per comprendere la natura e le origini del cosmo? …
Ritorniamo al quesito di poco fa circa lo spazio vuoto: perché è lì? Che senso ha? … Sembra un cielo fatto dai bambini per natale, con lo sfondo di cartapesta nera o blu e le stelline di carta dorata e sberluccicante … ma come si spiega tutto ciò? …
Abbiamo già accennato alla diversa visione quantistica dei fenomeni e ora aggiungiamo il contributo della QFT: tutto, e sottolineo tutto, ciò che osserviamo è costituito dagli innumerevoli campi che sottendono all’universo osservabile e dall’interazione di tali campi, che a loro volta generano quegli epifenomeni che a noi appaiono come particelle, atomi, molecole, pianeti, stelle, galassie e quant’altro. E’ proprio tutto quello sberluccichio ad accecarci e ad impedirci di notare il … “buio”, da cui tutto emerge.
I campi di per sé sono invisibili, ma gli effetti che producono ci permettono di dedurre la loro presenza: tutti vediamo gli effetti del campo elettrico ogni volta che accendiamo la luce, o che utilizziamo un computer, ma non ci preoccupiamo troppo dei campi (EM) che consentono a tutti quei processi di presentarsi ai nostri occhi ipnotizzati … Tranne forse quando qualcuno ci faccia notare il danno, che proprio quei campi, possono ingenerare in chi tenga un cellulare troppo a lungo vicino alla testa … O quando un incidente a qualche centrale nucleare ci investa con radiazioni ionizzanti frutto di “campi” (Energia Nucleare Debole) di cui forse mai abbiamo sentito parlare ma che ci procurano terribili malattie …
Esiste anche un campo “universale”? … Qui siamo un po’ nei guai, perché questo è l’unico campo che, per così dire, canta fuori dal coro: si tratta del “campo metrico” (o campo gravitazionale) che ci riconduce alla Relatività Generale e ai suoi problemi con la QFT. La caratteristica di questo campo è proprio che non ha ancora una sua fisicità ben definita (anche se la si ipotizza in alcune teorie), ma al momento è “solo” un campo spaziotemporale immateriale, esso è tuttavia sensibile – in modi ancora oscuri - agli effetti della gravità.
Possiamo quindi per ora solo limitarci ai campi che funzionano con la QFT, per procedere nel nostro ragionamento:
Senza soffermarci troppo nei dettagli, limitiamoci a considerare una certa quantità di campi interagenti tra loro nel nostro attuale universo e risaliamo da qui verso il suo passato come risulta dalla teoria del BB: in questo caso dobbiamo prendere in considerazione il fatto che tali campi sono la conseguenza dell’attuale dimensione dell’universo e che risalendo indietro nel tempo, col ridursi di tali dimensioni, cambia in proporzione, anche la densità energetica (diciamo per semplicità la “temperatura”) e conseguentemente il tipo e il numero dei campi si riconfigura per rispondere alle nuove condizioni. I campi non sono entità fisse e predefinite, ma il risultato delle condizioni generali presenti nell’universo in tempi diversi: se oggi prevale il “buio” costellato di “stelle”, in passato poteva essere ben diverso e lo sarà facilmente anche in futuro, magari potrebbe essere tutto buio e senza stelle e pieno di buchi neri … chissà! …
L’universo non è - e non è mai stato – un’entità fissa e statica, ma è una sorta di organismo in perenne mutamento e caratterizzato delle sue età: nascita, sviluppo, pienezza, degrado e fine, per usare una metafora biologica. Anche in questa metafora abbiamo un concetto che permane e allo stesso tempo muta ad ogni mutata fase dell’esistenza: l’energia vitale dell’essere vivente è esplosiva e quasi caotica nelle sue fasi iniziali, per giungere poi alla pienezza della forza durante la maturità e andare scemando al sopraggiungere della vecchiaia; ed anche rimanendo in metafora possiamo notare come la nascita e la morte dell’organismo configurino due eventi dalla natura, o “singolarità”, che travalicano i processi interni tipici della vita "singola" e che prefigurano qualcosa di specifico e in qualche modo altro, eppure riconducibile ad un processo continuo ad un livello superiore ma congruo.
Anche per l’universo e per i campi che lo definiscono, possiamo prendere in considerazione un’evoluzione composta da fasi caratterizzate – nello specifico – dalla densità di energia di ciascuna di esse: se nella fase presente possiamo osservare una quantità di  campi diversi in presenza una densità bassa, ne possiamo dedurre che in un universo più compatto il totale dei campi sarà diverso, plausibilmente molto più ridotto … Ed è così, ce lo dice la QFT, in quanto al crescere della temperatura le differenti forze collegate ai campi tendono a convergere e tendono ad unificarsi e ridursi di numero. Sappiamo già che l’elettricità e il magnetismo sono due facce della stessa medaglia ed è per questo che siamo avvezzi a chiamarle unitariamente Elettromagnetismo; allo stesso modo anche quest’ultimo nelle giuste condizioni risulterà unificato con la forza e i campi che definiscono il decadimento radioattivo (ovvero la Forza Nucleare Debole) e assumono la definizione di Forza Elettro-Debole e di conseguenza riducono ulteriormente la lista dei campi in dette condizioni del cosmo. Quando temperatura e densità di energia crescono ulteriormente, anche la Forza Nucleare Forte (quella che tiene insieme i quark nel nucleo atomico) si combina con la Forza Elettro-Debole e riduce ulteriormente la scelta, dando luogo a quella che si chiama Teoria di Grande Unificazione (o GUT) e che ci rappresenta l’universo come si presenterebbe nelle sue fasi iniziali. Purtroppo a questo quadro manca, come già sappiamo l’unificazione, con la gravità, che potrebbe condurci direttamente alla cosiddetta – e un po’ troppo enfatica -  Teoria del Tutto (o ToE).
Tanto però basta, per indicarci la strada verso un possibile quadro generale di come le cose potrebbero essersi svolte all’inizio dei tempi: un universo ai suoi albori sarebbe un luogo con un singolo campo molto speciale e totalmente unificato, ma pur sempre un CAMPO! …
E come si addice a un campo esso fluttua e fluttua e … fluttua … Niente lo può fermare, niente lo può distruggere e niente lo può …CREARE! … E sì, non può essere creato né distrutto, QUINDI NON PUO’ CHE ESSERE ETERNO!
Ecco la risposta che cercavamo: l’universo è in origine un campo fondamentale in perenne fluttuazione ed eterno - sottratto perciostesso di diritto al flusso temporale come noi lo definiamo – e in grado di generare e trasformare universi a ciclo continuo (grandi o piccoli che siano, brevi o interminabili, semplici o frattalmente complessi che dir si voglia).
Un’altra caratteristica di un tale universo (o collezione di universi che dir si voglia) è che esso è causa prima, o se si preferisce è causa di sé, o ancora "causa incausata". E’ un entità caratterizzata SOLAMENTE dalla propria natura instabile e turbolenta e per lo più massimamente caotica … tuttavia … tuttavia nell’arco della sua ETERNA variabilità è altresì altamente plausibile che in una percentuale frazionaria preveda – come eccezione rarissima – anche il caso di una fluttuazione “ordinata” (o a bassa entropia) e che possa pertanto dare vita ad un universo come il nostro, che parta dall’ordine e si espanda nel senso dell’entropia crescente, ovvero dell’aumento del disordine, proprio come sta accadendo al nostro.

Non sappiamo cosa troveremmo se potessimo esplorare gli eoni che ci hanno preceduto, o quelli che ci seguiranno, ma possiamo immaginare tanti universi effimeri, tanti che durino a lungo nel buio pesto e in un maelstrom di energia pura, tanti che ribollano come una pentola in ebollizione e tanti tanti altri che non possiamo nemmeno immaginare e che forse nessuno potrà mai immaginare … eppure tutto ciò non ha né fine né principio … perché l’unico universo conoscibile può essere quello in cui – per puro caso – un essere senziente si sveglia dall’oblio e si specchia, in un cielo stellato costruito con carta colorata, da una giovane vita cosciente.




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domenica 17 giugno 2018

Beauty is in the eye of the beholder ...

[La bellezza è negli occhi di chi guarda]





Esiste una scuola di pensiero nell’ambiente della fisica teorica corrente, secondo la quale la validità di una teoria può dipendere in gran parte, se non del tutto, dalla sua coerenza intrinseca e dall’eleganza delle sue equazioni … Potremmo riassumere dicendo che, secondo questa impostazione, la bellezza di una teoria può sopperire alla mancanza di prove sperimentali …

Ci sono fior di sostenitori di questa posizione di principio, anche fra i più rinomati pensatori e detentori di cattedre prestigiose … Quindi è con grande timore che esprimo  la mia opinione in proposito:



Si dice, che la bellezza è negli occhi di chi guardi … ma allora che ne sarà di quest’idea che la bellezza di una teoria sia sufficiente a renderla valida, dato che, come ben sappiamo … ogni scarrafone è bello a mamma sua? …





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sabato 16 giugno 2018

Questioni di lana caprina …





A quanto pare, il problema tra la fisica classica e la meccanica quantistica (MQ) è essenzialmente legata all’idea che vi possa o non vi possa essere una realtà oggettiva “indipendente” e conoscibile nelle sue componenti singole, dalle quali poi “riassemblare” l’insieme per ottenere un quadro generale coerente, come sostiene appunto la fisica classica. La MQ non accetta questa prospettiva e la respinge in toto in quanto contrasta con le sue verifiche sperimentali del mondo subatomico e con tutto quel corpo matematico che si dimostra in grado di descrivere tali esperimenti, a patto di basarli sulla “non-separabilità” delle suddette componenti (classicamente intese): esiste solo una funzione d’onda universale dalla quale è possibile estrarre singole osservazioni in “contesti” ben definiti sperimentalmente (soggetto + setup). Ne consegue che l’universo non è conoscibile in quanto tale, e nemmeno esiste come insieme di costituenti singoli, semmai può essere visto come condizione a priori, trascendente. La specificità della MQ consente solo “osservazioni soggettive su contesti predisposti in modo univoco” e ogni volta sarà necessario ripetere l’intera procedura, prima di poter osservare qualcos’altro.



Non esiste la possibilità per noi, facenti parte di questo universo, di osservarlo “dall’esterno”, come vorrebbe poter fare la fisica classica, in modo surrettizio, grazie appunto al postulato (opposto e plausibilmente arbitratrio) della “separabilità”. Se noi decidiamo che l’universo si può legittimamente studiare scomponendolo in singole parti, per poi rimetterle insieme e “presumere” che esse “funzioneranno” correttamente, allora abbiamo il punto di vista della “fisica classica”.
Se, invece, riteniamo che ciò sia un presupposto arbitrario e invece consideriamo l’universo qualcosa di diverso e molto più ricco delle sua parti, allora, come alcune scuole MQ suggeriscono, non è lecito comportarsi come il dottor Frankenstein e illudersi che (metaforicamente parlando), mettendo insieme parti di cadaveri potremo mai ricomporre un essere vivente. D’altra parte, sempre dalla prospettiva MQ, è illusorio pensare di poter studiare l’universo standoci dentro … S'incontrerebbero le stesse difficoltà di principio che affronterebbero gli astronomi, che cercassero di studiare la nostra galassia: essi dovrebbero osservare come sono fatte tutte le altre, per farsi comunque solo una vaga idea della nostra. Tuttavia nel caso dell’universo non esiste una “seconda copia esterna” da studiare … Quindi, si è surrettiziamente deciso di postulare la possibilità di studiarne a fondo le varie parti, per poi ricomporle in un tutto plausibile, per quanto necessariamente incompleto.
La MQ, come scienza puramente naturalistica, esclude inoltre dal proprio quadro di riferimento tutto ciò che non sia verificabile scientificamente e quindi lo scontro con le teorie classiche che sono, forse, meno rigide sotto questo aspetto risulta ancora più netto.
Citando alcune considerazioni dai sotenitori della MQ: “According to QM, the world exists only as a cloud of simultaneous, overlapping possibilities - technically called a “superposition” - until an observation brings one of these possibilities into focus in the form of definite objects and events. This transition is technically called a “measurement.” One of the keys to our argument for a mental world is the contention that only conscious observers can perform measurements.”
Uno degli aspetti considerati fragili nalla posizione della MQ è proprio alle sue fondamenta: il concetto di misurazione e la necessità di un soggetto che la esegua.
In questa impostazione si rilevano due possibili paradossi:
1) La realtà non esiste, per sé, a meno che un qualche “soggetto” non effettui una qualche misurazione ... Siamo dunque tutti pazzi?
2) Come emerge, in origine, un soggetto in un costesto simile?

Se il mondo non è altro che “… una nebbia di  possibilità simultanee che si sovrappongono …” risulta evidente che abbiamo solo rovesciato il problema della visone “classica” dell’universo: in quel caso abbiamo certezza che esistano i soggetti e quindi la possibilità di osservare i fenomeni, ma ci manca la possibilità di “esternarci” da esso per farlo … Mentre nal caso dellla MQ, abbiamo individuato la natura della totalità dell’universo, ma ci viena a mancare il modo di giustificare l’esistenza dei soggetti, che siano poi in grado di prelevarne dei campioni validi da studiare … o no? …

L’accusa che viene mossa alla MQ è che si tratti di una posizione solipsistica, che si rinunci a conoscere il mondo là fuori per inventarsene però uno del tutto basato sulla soggettività ... Ci si risponde che si tratta di una soggettività allargata alla totalità dei possibili “sperimentatori”, i quali grazie alle regole matematiche condivise possono appunto fornire la controprova che le osservazioni siano ripetibili e quindi valide almeno a livello intersoggetivo e quindi scientifico … E’ tutto qui? … Siamo sicuri che questo ci consoli dal rinunciare alla possibilità che là fuori ci sia, alla fine, qualcosa che non dipenda da noi? …

Einstein dice, con un buon grado di lassismo, che la fisica è un po’ anche metafisica e che, se vogliamo arrivare a conoscere il mondo, un po’ di flessibilità in partenza ci serve … Che ne sarebbe oggi dell’America se Colombo fosse stato eccessivamente puntiglioso? … Si chiama spirito d’avventura e dove saremmo senza di esso?



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Quotes from: Realism and Objectivism in Quantum Mechanics (Vassilios Karakostas, 2012)
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giovedì 14 giugno 2018

Noi non vediamo l’universo, ma solo il nostro orizzonte su un (presunto) universo ...



Nonostante spesso mi diverta a giocare con certe improbabili modalità di divulgazione scientifica, non posso non riconoscere come ve ne siano di valide ... ed è proprio da una di esse che traggo una mia personale variazione sul tema. Lo dico a futura memoria.
Vi sarete anche voi posti, sicuramente, in una forma o un'altra, la domanda seguente:
Perché di notte fa buio, nonostante ci siano così tante stelle nell’universo? … Miliardi e miliardi da quel che si dica ... Non dovrebbe tanta luce illuminare le nostre notti? ...

La semplice risposta che spesso venga fornita è riferita alla grande vastità di spazio che separi le stelle ... ma è veramente così? ...




La ragione, si potrebbe anche dire, è che in realtà non ci sono poi così tante stelle “ADESSO” !!! 
Ovvero le stelle di cui si parli esistono in teoria, ma in pratica quelle che effettivamente “ci riguardano” sono solo quelle la cui luce (avendo una velocità finita) perviene fino a noi adesso!!! … mentre la luce della maggior parte di quelle stelle (di cui pensiamo di conoscere l'esistenza) invece, a causa dell’espansione dell’universo, non ci ha ancora raggiunti, o non ci raggiungerà mai. 

Noi non vediamo l’universo, ma solo il nostro orizzonte su di un (presunto) universo di cui potremmo, in realtà, non venire mai a conoscenza ...

La scienza, a volte, ci spinge a presumere di sapere più di quanto sappiamo, o di quanto potremo mai sapere ... ? ...

Gli "antichi" credevano davvero nei miti infantili che creavano? ... Io ho il sospetto che sapessero, non più di noi, ma meglio di noi ... forse meno di noi, eppure meglio di noi ... Forse sapevano, che una storia sul mondo (un mito) vale l'altra, l'importante è averne una e usarla per non dover continuare a farsi domande inutili, perché prive di senso.

La scienza, ai nostri tempi, si sta confrontando con quesiti più grandi di lei, quesiti tipicamente filosofici, e lo fa con gli strumenti sbagliati ... e presto o tardi se ne renderanno conto anche quelli che si ostinano a illudersi che la matematica da sola li possa portare da qualche parte (*) ... piuttosto che in un vicolo cieco, abbellito solo da "una fioritura di confusi ronzii" ("a bloomin’ buzzin’ confusion.", nelle già altrove citate parole di William James).




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(*??) Lost In Math: How Beauty Leads Physics AstraySabine Hossenfelder  - 2018 
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martedì 12 giugno 2018

La teoria delle cazzate in fila una dietro l’altra …




Sarebbe possibile dimostrare come la visione “classica” di Einstein non sia affatto incompatibile con la visione della Meccanica Quantistica, sia nella sua formulazione base e varianti storiche, sia secondo le più recenti scuole di pensiero “filoso …vietiche” …

Basandosi – a questo scopo - sul principio che la “realtà fisica/fenomelogica” non è definita in “nessun” modo particolare (cioè in nessuno dei modi che noi usiamo per rappresentarla: teorie/filosofie/religioni/ecc. …) bensì sia tale che ogni possibile descrizione vi si adatti …

Paradossale o meno che si consideri tale idea, si tratta dell’unica spiegazione sensata!! … E non solo, è anche la più logica, in quanto ovviamente noi non siamo in grado di “capire” un presunto universo “oggettivo”, ma solo di “rappresentarcelo” in modi del tutto parziali e preconcetti: ogni nostro “esperimento” scientifico, che studi il mondo, non può che essere “inficiato” dai nostri limiti e finire per rappresentare in modo deviato ciò che cerchiamo di studiare … E’ questo un principio basilare della stessa MQ: l’impostazione di un esperimento (setup) ne condiziona inesorabilmente l’esito; ma secondo la mia personale visione, questo limite è in effetti molto più gravido di conseguenza di quanto si immagini.



Esiste un “limite” intrinseco alle nostre capacità di studio della natura e per ulteriore paradosso  – e per aggravare le cose – è già tale limite in sé a sfuggirci inesorabilmente … Già in passato, ho spesso rimarcato come: NON SIAMO NOI A POTER “COMPRENDERE” L’UNIVERSO, MA E’ (semmai) L’UNIVERSO A “COMPRENDERE” NOI !!! … e non si tratta solo di un gioco di parole: noi mitiziamo le nostre presunte capacità mentali e ci illudiamo che siano illimitate, ma non è così! … La prova ne sia che la realtà in cui viviamo è da sempre – e non fatevi illusioni per il futuro! – fuori controllo e ad ogni tentativo di riprenderne il controllo … essa ci scappa da tutte le parti, ridicolizzandoci …  Non facciamo che spostare i problemi avanti nel tempo e consolarci con sempre nuovi e più mirabolanti gadget, ma è una ben misera consolazione e non è nemmeno codivisibile con la maggior parte degli altri esseri umani: è solo il parto egoistico di menti esaltate e ipocrite a spingere su questa presunta “evoluzione” …

La teoria del tutto (che è il “tutto” solo per alcuni scienziati poco attenti) è solo un altro inutile mito, per poter procrastinare la presa di coscienza dei nostri limiti naturali, dei quali non dobbiamo certo vergognarci, ma che, se giustamente intesi, potrebbero salvarci dal mito più pericoloso che da sempre incombe su di noi … quello del “progresso”.

La follia dei nostri tempi è già arrivata a postulare la “singolarità”(*) come (futuribile?) panacea di tutti i mali, come (delirante?) promessa di immortalità surrogata, come (legittima?) aspirazione a un superomismo d’accatto, come affrancamento dai (presunti?) limiti di questo nostro corpo umano (di cui non capiamo peraltro granché …), come esaltazione della nostra (megalomanica?) ambizione …

Quello che ci serve – forse – è un bagno di umiltà … Uhmm … Ma che cazzo sto dicendo? … Avevo cominciato così bene …





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(*) Per “singolarità”, in questa accezione, si intende l’ipotetico upload (caricamento) delle nostre “menti”, in un futuro non troppo lontano, in qualche evoluto sistema cibernetico, in grado di superare i nostri limiti fisici.


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Sani consigli per approfondire:

(1) Owen Barfield, filosofo, nel 1957;  citazione da “Saving the Appearances”:
 “I do not perceive any thing with my sense-organs alone.… Thus, I may say, loosely, that I ‘hear a thrush singing.’ But in strict truth all that I ever merely ‘hear’—all that I ever hear simply by virtue of having ears—is sound. When I ‘hear a thrush singing,’ I am hearing … with all sorts of other things like mental habits, memory, imagination, feeling and … will.”

(2) Thomas Kuhn, filosofo, nel 1962;  citazione da “The Structure of Scientific Revolutions”; ci fornisce un  esempio di come la stessa scienza cada preda di questa soggettività intrinseca della percezione ... definisce  un "paradigma" come un "corpo implicito di convinzioni teoriche e metodologiche intrecciate", e ne scrive nei seguenti termini:
“something like a paradigm is prerequisite to perception itself. What a man sees depends both upon what he looks at and also upon what his previous visual-conceptual experience has taught him to see. In the absence of such training there can only be, in William James’s phrase, ‘a bloomin’ buzzin’ confusion.’”

(3) Più recentemente, commentando esiti sperimentali sulla non-località della Meccanica Quantistica, il fisico  Anton Zeilinger ha affermato che:
"non ha senso supporre che ciò che non misuriamo [cioè, osserviamo] di un sistema ha una realtà [indipendente].”





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