venerdì 26 dicembre 2014

E’ possibile includere il “piedistallo” direttamente nella scultura?

[Can you ever conceive of a "pedestal" within the very statue?]

Abstract: “Una volta uno scultore equestre, per far risparmiare il committente, decise di includere un bel piedistallo nella stessa statua, che gli avevano commissionato. In questo modo, egli pensò, il suo cliente sarebbe stato oltremisura soddisfatto di quella suo premura e avrebbe certo sponsorizzato fattivamente il suo lavoro. Compiaciuto della sua pensata, si era concesso una lunga vacanza di studio, lasciando al suo agente l’incombenza della consegna dell’opera e di tutte le formalità conseguenti; certo che al suo ritorno avrebbe goduto del plauso e dei benefici di un’opera già nota al vasto pubblico, nella sua città ... “  “Diversi mesi dopo, al ritorno dal suo tour sabbatico, in un paese del terzo mondo, con scarsi collegamenti mediatici, arrivando in città, fu travolto dall’incredibile notizia, che la sua tanto attesa opera commemorativa non fosse ancora stata disposta nella sua sede, a causa di un’interminabile diatriba fra critici d’arte, architetti, linguisti, politici e la popolazione tutta ... Egli non riusciva a capire, cosa il suo agente gli stesse dicendo; ma di che stanno parlando: - Non è stato possibile inaugurarla, perché i critici non concordano sul piedistallo? ...- ”  ...  “Come sarebbe? ... Ma se il piedistallo era stato appositamente incluso nell’opera, proprio per semplificare le cose! ...”  “Solo dopo estenuanti discussioni, venne finalmente chiarito che, in sua assenza, si era infiammata un’incontrollabile discussione tra ogni tipo di autorità pubbliche, sul fatto che un’opera ed un piedistallo fossero due entità indipendenti e perciò dovessero svolgere il loro ruolo culturale ed artistico autonomamente; per così dire, in sedi separate, seppure da un sottile strato di malta ..."

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Secondo voi, questa è una storia vera, o una delle tante “leggende metropolitane”? ...

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Questa occasionale riflessione, nasce da un ricordo personale di gioventù; ho voluto verificare se la storia fosse diffusamente conosciuta, consultando il web e così, con una certa dose di delusione, ho scoperto come il racconto si sia ormai trasformato in una confusa, classica, “leggenda metropolitana”: ognuno la racconta come gli pare, ognuno la personalizza e la attribuisce a questa, o a quella, tradizione culturale, a questo, o a quel, personaggio storico; l’abbellisce dei propri orpelli; la mutila; la stravolge; e via dicendo ... Io, in questo, non sarò da meno e, se ho una scusante, consiste nel fatto che, la prima volta, l’ho sentita durante la mia permanenza in India, terra a cui sembra doversi attribuirne l’origine, raccontata da uno degli studiosi, coi quali ero in contatto allora.
Sembra che, durante una discussione filosofica, nell’agorà di un qualche antico re indù, alcuni saggi pensatori si chiedessero cosa impedisse alla, allora supposta piatta, terra di precipitare nel vuoto del vasto firmamento stellato. Ognuno diceva la sua e non trovavano alcun accordo; fino a quando un giovane adepto,si rivolse al più anziano fra loro, che se ne stava in disparte, silenzioso e distaccato: non ti interessa la nostra diatriba, o nobile maestro? ... Al contrario, rispose il vecchio: è solo, che conosco la risposta ... E quale sia, se non siamo impertinenti, o sapiente? ... Ma è ovvio! Il nostro mondo poggia sul dorso possente di un mansueto elefante ... Tutti restarono ammutoliti; silenti e pensierosi, scambiandosi sguardi, perplessi ed interrogativi ... Fino a quando, il solito giovane spavaldo ruppe il silenzio, con un quesito impertinente: e dove poggiano le poderose zampe di tale animale, o saggio fra i saggi? ... Naturalmente, sul dorso di un altro mastodonte ... Per un’interminabile intervallo, nessuno profferì parola, o fiato, o financo pensiero ... Solo il vento sembrava trovare coraggio, in quegli infiniti istanti di pausa ... Tutti sembravano meditare, umilmente, quelle parole inaspettate e potenti; ma uno di loro, il solito, interruppe quella magia e parlò ... Ma cosa potrà mai sostenere il peso degli elefanti, uno, due, mille, o diecimila, che essi siano, o mio paziente mentore? ... Ancora silenzio e facce accigliate, per quella inconcepibile sfida ... Poi la risposta: una robustissima tartaruga, mio giovane e intraprendente Chātra (allievo) ...
In quella stessa occasione, il mio interlocutore, già allora, mi aveva spiegato come gli “inglesi” (così definiva lui tutti gli stranieri, quando non li etichettava come “mleccha” [म्लेच्छ])  avessero deformato il testo originale, introducendo, fra le altre cose un nuovo finale, nel quale il saggio risponde (traducendo alla buona):
“Vi sono, via, via, elefanti sempre più robusti; ad libitum ...”.

Sia come sia, la storia vorrebbe essere un monito circa il rischio che si corra, nel cercare risposte a domande “circolari”; come: “donde veniamo”; “come nasce il nostro universo”; “c’è prima l’uovo, o la gallina” e simili ... Si finisce regolarmente nella trappola della “regressio ad infinitum”. Se questo è stato vero per Sant’Agostino fra gli altri, sembra invece, che buona parte della fisica teorica dei nostri giorni abbia infine superato l’ostacolo ... IGNORANDOLO! ... Potenza “dell’effetto tunnel culturale” ...

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En passant. Una delle tragiche conseguenze, di una tale gratuita e proterva sufficienza, si è manifestata in occasione di una, non troppo stagionata, intervista radiofonica, che ho avuto occasione di seguire, in versione “youtubica”, tempo fa. Si discuteva di una appena rilasciata pubblicazione divulgativa, dedicata a concetti di pura fisica teoria ed erano presenti, oltre al moderatore, l’autore del libro, notissimo scienziato nel suo campo, ed un teologo, verosimilmente un creazionista di qualche sorta. Mi ero deciso a seguire il dibattito, perché mi interessava sentire dalle vive parole dell’autore, una qualche giustificazione sensata  per il titolo del saggio, cha a mia opinione era semplicemente insensato. Non è possibile citare nomi e termini esatti, per buonsenso e buongusto; tuttavia si discuteva di un tema che riappare regolarmente negli articoli e documentari divulgativi dedicati a tale materia: il fatto che l’universo possa (come suggerisce la meccanica quantistica in alcune delle sue varianti) essere “saltato fuori dal nulla”. Questa affermazione è tipicamente, per semplificare, utilizzata in vece di quella correttamente formulata, e che suggerisce la possibilità, che l’universo possa essere “emerso”, in conseguenza di quelle che vengono definite: “fluttuazioni quantistiche del vuoto”.
I due ospiti si sono confrontati sul tema, ma paradossalmente, dal mio punto di vista, senza storia:
parroco 1 – scienziato 0 e a casa!!
Il teologo di campagna ha messo alle corde il saputello con tutte le copie del suo libro in un attimo, spiegandogli come non si possa confondere una figura retorica con l’immagine che intende rappresentare.
Quando si afferma il nulla, si sta semplicemente “personalizzando” la negazione di qualcosa:
“Che cosa hai portato per pranzo?”
“Nulla”
“Come, arrosto, oppure in salmì?”
“Che cosa?”
“Nulla arrosto, o nulla in salmì, coi crostini? ...”
“Mi sono scordato la gavetta, va bene così? ...”
“Ah, va bene ... Allora spiegati ... Meglio dire: non ho portato alcunché … Così i “fisici” capiscono meglio! ... E non corri il rischio di scatenare una nuova creazione ...”

Lo stesso dicasi per una teoria che confonda il “vuoto quantistico”, cioè un ambito fisico a densità bassissima, con un termine linguistico di natura puramente metaforica: “niente”, o “nulla” che dir si voglia, non possono dare origine all’universo più di quanto non possano: “alcuni”, “tal altri”, “perbacco!”, “minchia!”, “estremamente”, “tomo tomo cacchio cacchio”, e via farneticando ...
E’ vero, come dice il “parroco” dell’intervista, che dal niente non nasce niente, ma se si smette di confondere una pura negazione con un concetto fisico, allora si potrà sostenere, che il tutto può manifestarsi sotto forma di materia oggi, ovvero sotto l’aspetto infinitesimale e invisibile di una coppia di particelle virtuali, domani ... E, magari, proprio da tali particelle virtuali, in un lontano passato, o futuro, un universo potrebbe sbocciare, trasformando il “vuoto tremulo” dell’indeterminato, nel fuoco “pirotecnico” di un Big Bang.


Ma quante ne so ...



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giovedì 25 dicembre 2014

BULK => Ha subito un re-styling: Extension



Una sostanziale "Extension" è stata aggiunta al breve "scherzo" dal titolo "BULK".


vedi più sotto, nella posizione originale del titolo.



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domenica 21 dicembre 2014

Gli aforismi di un blasé ...

[A jaded's aphorisms]




- “Il mondo non è che una commedia, per la persona che pensa;
  è, invece, una tragedia, per la persona che sa! …” (p. SPA)

- “E’ anche possibile, nel peggiore dei casi, che sia entrambe le cose …
   Per la persona che sogna …” (JAP)

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- “Che cosa può farmi, Lei, Signore,
                                    che la vita non mi abbia già fatto? …” (JAP)

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- “La vita, mio caro Sig. Poirot, è decisamente sopravvalutata …” (AC)

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- “Povera donna! ... Che morte orribile, Sig. Poirot ...

   “Eppure, mia cara signora, in questa vita, 
                                         di qualcosa bisogna pur morire …” (AC)

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- “La vita per me, amico mio, non ha più sorprese, solo delusioni
   e nemmeno poi tanto deludenti …” (JAP)

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- “Questa é la civiltà:
                    hai tutto quello che vuoi, quando non ti serve …” (ADC)
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- “L’acne giovanile si cura con la vecchiaia ...” (ADC)

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- “Da che mondo è mondo, il mondo è immondo …” (JAP)

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- “Perché preoccuparsi? ... Il peggio deve ancora arrivare …”  (JAP)

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- “La vita è come una sala cinematografica: un giorno siedi in galleria e sputi in testa a quelli di sotto e il giorno dopo, trovi posto solo in platea e quelli in galleria sputano in testa a te ... Puoi non essere tu quello che sputa quando siede di sopra, ma qualcun altro lo farà certamente e comunque, quando ti toccherà di stare in platea, la tua buona educazione non ti farà da ombrello ...”  (JAP)

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- “La vita è ciò che ti accade quando sei tutto intento a fare altri piani.” (JL)

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- “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.” (AS)

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- “La vita è piacevole. La morte è pacifica. E' la transizione che crea dei problemi.” (IA)

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- “La vita è una favola narrata da uno sciocco, piena di strepito e di furore ma senza significato alcuno.” (WS)

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- “La vita è la più monotona delle avventure: finisce sempre allo stesso modo.” (RG)

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- “La vita? … Voglio proprio vedere dove vuole arrivare ...” (ADC + JAP)

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- “Chi vive sperando, muore cagando!” (JAP)

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- “Nella vita ho talmente tanti rimpianti, da non poter avere il benché minimo rimorso” ... (JAP)

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- Post Fata Nihil Est :   Per circa 14 miliardi di anni sono stato tranquillamente "morto” e, molto probabilmente, dopo questa breve parentesi di circa 70/80 anni, mi ritroverò, verosimilmente, come prima. Non c’è motivo di pensare che sia diverso da come fu! … Rimane un'unica lamentela formale, relativa a questo seccante e inutile intervallo, pieno di insensate scemenze … Sinceramente, non me lo spiego! 


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giovedì 18 dicembre 2014

“E Lei, in che cosa crede?”


Abstract: Domanda tipica dei ”credenti” (in genere “Cristiani di tipo WASP/Creazionisti, ecc.), per mettere sulla difensiva l’avversario: se si risponde (se “credi” in qualcosa, perché non in dio), si presta il fianco ai credenti fanatici; se si dice no (credi in niente/ateo e senza dio), allora si è AGGREDIBILE, COME “NEMICO PUBBLICO” DEI VALORI CONDIVISI. Occorre contestare la domanda alla radice in modo efficace e diretto, per non cadere nella trappola, alcuni esempi:



1.Le rispondo, se prima Lei mi dice come distingue la credenza in dio da quella negli alieni, o nei folletti, ecc., ecc..


2.Io “credo” fermamente di non poter mai “limitarmi a credere” !! Ergo, prima di “credere” in alcunché, pongo tutte le domande necessarie e, fino ad ora, questo è stato più che sufficiente a mantenermi in una posizione di “proattivo distacco”, sia verso le religioni in genere, sia verso molti altri aspetti dell’esperienza comune; ivi inclusa, più spesso di quanto si creda, la scienza stessa. Non “credo” altresì, che sia necessario trovare risposte a problemi inesistenti, o vagamente futuribili, ovvero puramente ipotetici: “credere”, dal mio punto di vista, è solo un “verbo generico” ed una comoda alternativa/sinonimo, per esempio, per “ipotizzare”.


3.La domanda è, al tempo stesso, scorretta ed impropria: scorretta perché è chiaramente manipolatoria, un sofisma, nel quale una parte della risposta è implicita e quindi “obbliga”, chi risponda, a schierarsi inconsapevolmente, in un ambito, che si dia per scontato gli appartenga; impropria nella misura in cui chi la ponga esige dal ricevente un’opinione, che egli non sia tenuto, necessariamente ad avere. Chi “crede” può essere tentato, in buona, o cattiva “fede”, di considerare la propria “credenza” come un dato universale e quindi tenderà a coinvolgere, tutti, in una semplice questione tra un dio ed un altro (Egli vs. Miscredenti), ovvero tra un dio e un “non-dio” (Egli vs. Atei). Questo, per cominciare denota una buona dose di egocentrismo, per non dire di megalomania; chi si opponga al credente non deve poter avere, a propria “difesa”, solo quelle tesi, che il credente gli conceda, né, tantomeno, dev’essere considerato come si trovasse “sotto accusa” e necessitasse un qualche tipo di “autodifesa” (o magari, perché no, autodafé …). Nel rispondere a domande tendenziose, come quella in oggetto, è da considerare che esse siano, quindi, entrambe le cose: scorrette ed improprie!! Detto questo, una risposta alla domanda, per quanto posta male, può essere organizzata, a partire proprio dal pregiudizio, che essa evidenzi nel proponente. Chi lo dice che si debba, per forza, credere in “qualcosa”, oppure nel “suo opposto”, ovvero “a niente”? L’idea che, a tutti i costi, si debba “credere in qualcosa”, altrimenti si è dei reietti, è una manifestazione di puro “razzismo culturale”: non una cosa da poco, in effetti, è la forma più profonda di razzismo, che esista; in quanto essa tenti di “annullare alla radice” ogni forma di pensiero, di cui non si sappia, o si capisca, nulla (per voluta ignoranza e/o paura) e a cui non si abbia la lucidità di mente sufficiente per accedere. Premesso, necessariamente tutto questo; la posizione del sottoscritto, e sono sicuro anche di molti altri, non ha affatto a che vedere con la “ristretta cultura” espressa dalla domanda: una religione vale l’altra ed è persino un po’ patetico (oltreché incredibilmente tragico), che alcune delle peggiori guerre si siano combattute in nome dello “stesso dio”. Affermo, che non ho alcuna necessità di distinguere tra i monoteismi e non considero l’ateismo molto distante da essi: la ragione di ciò sta nel fatto, che per quel che mi riguardi, alla base delle religioni non c’è Dio, ma la “credenza in Dio”, che è cosa ben diversa! Chi neghi l’esistenza di dio, sia esso uno, o trino, o tanti, non fa che occuparsi dell’argomento con la stessa mentalità del suo antagonista “fedele”: l’ateo “crede”, che dio non esista; con lo stesso tipo di atteggiamento, che porta il “fedele” a confutarlo; con la stessa “credenza”! Noi non possiamo esprimere opinioni, se non sui “fenomeni” e quindi l’unico modo per sostenere l’esistenza “dei non fenomeni” è appunto “crederci” (non è, necessariamente, una citazione da X-files!); ma questo vale tanto per le divinità, come per gli alieni, come per le favole, come per gli asini che volano … E’ un atto della “propria” volontà (e guai se non fosse così! … chiedetelo pure al parroco!) ed per questo degno del massimo rispetto; almeno finché non venga “spacciato” per qualcosa di fenomenologico; perché allora si arreca offesa a chi, pur non avendo questo tipo di volontà, sia disposto, per ragioni proprie, a rispettare la convivenza civile ma nello stesso tempo a non farsi mettere i piedi in testa; come notoriamente, il passato insegna, tendono a fare quelli che, in base alle loro “credenze”, imprigionano, torturano, danno fuoco a chi preferisca “vivere con gli occhi aperti”. In poche parole questa risposta articolata è uno dei modi di confutare, non tanto quello che la domanda “sembra” sollecitare, bensì la malafede con la quale è posta ed anche il bagaglio d’ignoranza, che v’è implicita.


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NdA. Questo, in origine, era solo un appunto; per un eventuale dialogo. Ne ho fatto un’estrapolazione, per dare l’idea di come nascano, a volte, gli spunti. Non credo ne avrò più bisogno come previsto, ma ho voluto pubblicarlo lo stesso, autonomamente, perché lo ritengo un interessante “spaccato” della mia personale “devianza”. Ai tempi di Bruno, non l’avrei fatto e questo fa di me anche un vile … Che volete, nessuno è prefetto!




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I pensieri sono come le mosche



Abstract:
I “pensieri” sono come le mosche,  i moscerini, o le zanzare, in un pomeriggio, d’un’umida estate … Tenti invano di scacciarli, e non solo d’estate, e non solo con l’umidità … Ecco perché, i “pensieri” sono anche peggio …

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Essi sono fastidiosi; ma non è solo questo … C’è qualcosa di più, in essi, che ce li rende, a tratti, insopportabili: tu provi a fare altro, tu provi a credere di avere sete, o fame, o chissà cosa … Ma loro sono in agguato, sono lì che ti aspettano; pazienti … E tu pensi di averli rimossi e ti rivolti sull’asciugamano; o nel letto; o sul divano … O magari, tragicamente, mentre sei sopra di lei …

Mi sono sempre chiesto cosa li scateni, cos’abbiano in comune certi, i più disparati, argomenti … E’ proprio durante uno di quei “rivoltamenti” notturni, che mi sono deciso a “porre fine ai loro giorni”: NON NE POSSO PIU’! Mi sono detto; voglio andare in fondo alla faccenda.

In quell’occasione, si trattava di una lite condominiale della sera precedente, ma quella volta non ci sono cascato: quando mai mi è fregato qualcosa del fottuto condominio; quando mai ha rappresentato parte della mia vita, al punto di sognarmelo, o peggio da privarmi del sonno stesso? … Ed era stato sempre così, anche in passato, per quanto ricordi. Quella volta, che mi tormentavo per colpa di una multa stupida; oppure quell’altra, quando si era litigato, in casa, per il danno all’auto, provocato da nostra figlia … Sì, ma non sono sempre cose futili … Ora, per esempio me ne viene in mente una, di quelle un po’ più serie … Lei, in un impeto di rabbia, ma lo scoprii solo in seguito, minacciò di andarsene, con nostra figlia e di piantarmi definitivamente … In quel breve lasso di tempo, pochi gironi se ricordo bene, ho passato l’inferno … Mi arrovellavo, mi torturavo, per decidere se fosse colpa mia e dovessi fare io il primo passo; se dovessi evitare quel disastro, se volessi veramente perderla e incasinare stupidamente le nostre tre vite .. Ma questa è tutta un’altra storia … Non credo che faccia parte in questo contesto: arrovellarsi per questioni così importanti è perfettamente lecito; può essere annoverato fra le cose, almeno parzialmente, comprensibili della vita .. No! … No! .. Questo si chiama divagare
Il punto è, che non si possa mettere sullo stesso piano il rischio di una “tragedia” famigliare e la marea di stupidaggini, che spesso affollano la nostra mente, senza un vero motivo e, soprattutto, senza costrutto …
Tornando a bomba ai nostri moscerini, zanzare e mosche! … Non è certo come quando ti mordesse una vipera! … Allora preoccuparsi sarebbe logico; riflettere sul da farsi, provare ansia e preoccupazione, sarebbero pienamente giustificabili e lo sarebbe soprattutto perdere il sonno … Almeno, finché non si arrivi in ospedale! …

Ma quegli insulsi svolazzamenti, quelle mezze punture, quei ronzii, quelle “toccate e fughe” vicino all’orecchio, quelle tentate penetrazioni in bocca, o peggio nel naso … Eeeh, che maledetto schifo! … Che nervi! … E quando non si tratti di insetti, ma di quei “sinuosi sragionamenti”, allora è anche peggio! … Non puoi difenderti; la mente svolazza di qua e di là, senza controllo, toccando ora il petalo di una qualche sciocchezza, ora lo stelo di un apparente problema esistenziale, ora il nettare di un’attrazione fatale … La mente! … Forse non è vero, che ci sia questo abisso, fra le cose serie e quelle fatue: ho idea, che sia proprio questo il punto … La nostra mente tratta tutte le cose insieme, mescolate, alla rinfusa e solo se il “cuore” vi presti, o meno, attenzione, esse ci appaiono serie, importanti, dolorose, o facete … Deve essere così, perché tutta questa distinzione, mentre ti rigiri nel letto, fra tipi di pensieri, io non la colgo … Anzi è proprio in questo, che emerge l’apparente assurdità di tutta la faccenda …

Tempo fa, se non sbaglio, durante uno dei corsi tenuti alle “serali” dell’università in cui lavoro, si era tenuta una lezione di Neuropsichiatria divulgativa; a tenerla era uno dei luminari del campo, un neurobiologo sperimentale. Se ho capito bene, il docente sosteneva la tesi, secondo la quale i circuiti neuronali del cervello, per certi versi lavorano come un computer, per quanto complesso lo si voglia descrivere. Quello che egli intendeva rappresentarci era l’idea che tali “circuiti”, nella nostra mente, “lavorano” meccanicamente, insensibilmente, per così dire, sui “pensieri”; li elaborano, li catalogano, li confrontano e li memorizzano, continuamente. In questa fase, egli sottolineava, non “serve” al cervello, come al computer teoricamente, “caricare” il tutto con caratteristiche emotive: si tratta invece di pura elaborazione, allo scopo di riconoscimento, catalogazione e memorizzazione del materiale “percepito”; senza questa fase non sarebbe possibile “pensare”, perché non ci sarebbe il “di cui” … Solo in una seconda fase, il nostro cervello, una volta che abbia “confrontato” un elemento dell’ambiente esterno con il “bagaglio culturale” già archiviato in memoria, sarà in grado di attribuirgli un “carattere emotivo” e quindi un sentimento in grado di raggiungere la nostra coscienza e provocare le nostre reazioni …

E’ possibile, che questa idea possa spiegare, almeno in parte, la situazione di cui dicevamo: il fastidioso e continuo “mormorio” di sottofondo, che a volte ci perseguita ? … Gli indizi dicono di sì. Soprattutto il carattere “neutro”, privo di emozione, che quel “rumore di fondo mentale” sembra manifestare. Ecco, forse ciò che ci mette così tanto a disagio, nei noiosi pomeriggi e afosi, d’estate, nelle insopportabili ore di attesa, quando non riusciamo prender sonno, nelle torride calure estive, mentre prendiamo il sole in spiaggia, forse quella “cosa” non è altro, che il nostro modo di “interpretare” quel “rumore di fondo”, quel lavoro costante e vitale per la nostra sopravvivenza, che il cervello deve svolgere per poter “disporre” del materiale di base col quale “costruire il mondo” in cui viviamo. Non quello solido, fatto di muri e di automobili, di ostacoli e di cose materiali in genere, bensì quello “culturale”, quello che “riconosciamo” grazie alla memoria, quello che, per noi, ha un “significato”; quello che amiamo, oppure odiamo, quello che il nostro “cuore” solamente è in grado di apprezzare. E quando dico cuore, uso ovviamente una metafora, perché il cuore è solo un muscolo; un muscolo che si contrae e pompa più o meno sangue a seconda degli impulsi generati da varie parti del cervello, molto più profonde di quelle che generino il pensiero; parti che risalgono alle origini ancestrali; parti che ci sono ignote, o inconsce, se vogliamo; parti come l’Amigdala, le ghiandole endocrine e via enumerando … Ve ne vorrei citare altre, ma quel giorno, al corso serale, non ho preso appunti …


Quello che ora ricordo chiaramente, e con disagio,  è una delle più sorprendenti affermazioni emerse in quella serata, piena di affermazioni sorprendenti: il circuito che incanala i pensieri, nel nostro cervello è uno ed uno solo ed è lo stesso circuito, che genera sia il pensiero, che le fantasie ed i sogni … Non possiamo distinguere tra di essi, in modo razionale … 
E’ di nuovo compito del “cuore”, o forse, perché no,  delle frattaglie [1], saperne cogliere il senso



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Ref.
[1] Totò cerca moglie - A. DeCurtis,  1950.

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domenica 14 dicembre 2014

BULK

[Add-on: Extension]

Abstract:
A volte, quando le parole non possano più descrivere la realtà, alla quale ci si riferisce, può essere, apparentemente, più semplice prenderne una a prestito, da un qualche contesto del tutto fuori dal "presente seminato", per così dire ... "Bulk" ne è un esempio: meglio non tradurlo, come si fa con molti termini inglesi, per evitare confusione e perché la traduzione non sarebbe di così immediato effetto. Il termine, da noi, si potrebbe intendere, in relazione ad una generica quantità, come "il grosso di ..." tale quantità. Nell'accezione più recente, si utilizza, in fisica teorica, per indicare una "dimensione" superiore, fra le tante oggi ipotizzate, nella quale l'insieme dei possibili universi, identificati come "il multi-verso", "fluttuerebbero", come bolle in una pentola sul fuoco. La cosa particolare, che possiamo osservare, secondo me, è come il contenitore di tutto ciò che esista, secondo la fisica teorica del ventunesimo secolo, sia una parola; una parola, che non significa addirittura niente da sola, che può essere utilizzata solo implicando un contesto. Una tale parola, e nient'altro, sarebbe il contenitore di tutto ciò che esista ... Allora, perché non "Dio"? ... Perché non sarebbe elegante dirlo, da parte di scienziati e perché non sarebbe, scientificamente, abbastanza "fenomenologico", forse ...

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Cosa c'è oltre l'orizzonte?

Il cielo! ...

Cosa c'è oltre il cielo?

Lo spazio cosmico! ...

Cosa c'è oltre lo spazio cosmico?

L'universo! ...

Cosa c'è oltre l'universo?

Altri universi, tanti universi! ...

Cosa c'è oltre tali universi?

Il Bulk! ...

Ah! ...




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Non chiedetemi spiegazioni ... O vi rispondo: Bulk!

===== (sic!)

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Extension

Una delle ultime “teorie scientifiche” suggerisce la possibilità che il Big Bang possa essere sostituito dall’ipotetico collasso di una “stella-4D” (quadridimensionale) nel “Bulk” e che, come conseguenza di tale evento si venga a generare un “universo-3D”, appunto il nostro. 
Non voglio commentare la teoria in sé, che sicuramente poggerà su solide basi matematiche e che certamente esprimerà tutta l’eleganza, che spesso ci viene offerta in sostituzione della buona vecchia e ormai obsolescente “verifica sperimentale”; tuttavia vorrei far presente come venga passata sottotraccia, in questa proposta, l’introduzione leggiadra di una dimensione aggiuntiva in cui, sempre leggiadramente, si  sottintenda l’esistenza di innumerevoli universi “altri”, nonché, apparentemente, queste “presunte stelle 4D”. 
Come se niente fosse, per spiegare un singolo universo, sembra sia necessario che ne esistano infiniti altri: l’idea che su questa strada si incappi in una “Regressio ad infinitum” non sembra sfiorare i nostri eroi; ma non è questo il mio principale dubbio, a proposito di  questo genere di suggestioni. 
Quello che esse mi ispirano è un riflessione, che meglio si introduce con un esempio: partiamo dal racconto fantastico di Edwin Abbott-Abbott, l’arcinoto “Flatlandia”. 
In quel geniale e visionario racconto, si illustra come, un abitante di un eventuale universo 2D (a due dimensioni) si confronterebbe con l’eventuale presenza di un essere 3D (a tre dimensioni: il nostro mondo); ne viene fuori un “conflitto di paradossi” in cui l’impossibilità del “flatlander” di capire inizialmente la terza dimensione spiegata dal “3D-lander”, si contrapporrà in seguito con l’ovvia deduzione che il primo ricava facilmente, una volta superato il primo shock: se ce ne possono essere più di due, allora perché non 4, 5, ecc.? 
A quel punto sarà il “3D-lander” ad essere sconvolto dall’idea, che vi possano essere altre dimensioni di cui egli non possa essere partecipe. 
La questione di fondo è la seguente: se esistesse una “terza dimensione”, allora il “flatlander” ed il “suo mondo” decadrebbero ontologicamente; si trasformerebbero in tappezzeria, ma la stessa cosa accadrebbe al “3D-lander”, se vi fosse un numero di dimensioni superiore a 3! A quel punto, anche per lui verrebbe il momento di considerarsi niente di più, che una decorazione su qualche “piastrella 4D”: essi, entrambi, tragicamente cesserebbero di esistere, in rapporto all’infinita molteplicità, che una nuova dimensione porterebbe con sé ... Per quante “pagine” di libri ci possano essere in tutte le biblioteche e librerie del mondo, nessuna di esse può lontanamente avvicinarsi al “valore ontologico” del più semplice degli oggetti a 3 dimensioni: una pianta, un insetto, un animale, o anche solo una pietra. 
Se questo è vero, allora anche introdurre una dimensione in più al “nostro mondo” non può essere cosa da poco ... E magari, prima di pensare, che la dimensione in più possa spiegare, o meno, il Big Bang, forse dovremmo intenderne le conseguenza ontologiche, per il senso delle nostre teorie in genere ... 
Che senso avrebbero tutte le nostre teorie, tutte le nostre stelle e pianeti, galassie, ammassi, superammassi, ecc., in presenza anche di una sola dimensione in più? ... Tutto il contenuto del nostro universo non sarebbe più significativo di un “decorazione sulle piastrelle” di quel vagheggiato eventuale universo a quattro dimensioni ... Noi non saremmo detentori di una possibile spiegazione veritiera della realtà, più di quanto le “teorie di un flatlander” lo sarebbero dal nostro punto di vista di “3D-landers”!!

Se davvero ci sono altre dimensioni, oltre a quelle che noi esperiamo, allora è meglio lasciare, che le teorie le propongano coloro, che ne abbiano i mezzi.

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