venerdì 26 dicembre 2014

E’ possibile includere il “piedistallo” direttamente nella scultura?

[Can you ever conceive of a "pedestal" within the very statue?]

Abstract: “Una volta uno scultore equestre, per far risparmiare il committente, decise di includere un bel piedistallo nella stessa statua, che gli avevano commissionato. In questo modo, egli pensò, il suo cliente sarebbe stato oltremisura soddisfatto di quella suo premura e avrebbe certo sponsorizzato fattivamente il suo lavoro. Compiaciuto della sua pensata, si era concesso una lunga vacanza di studio, lasciando al suo agente l’incombenza della consegna dell’opera e di tutte le formalità conseguenti; certo che al suo ritorno avrebbe goduto del plauso e dei benefici di un’opera già nota al vasto pubblico, nella sua città ... “  “Diversi mesi dopo, al ritorno dal suo tour sabbatico, in un paese del terzo mondo, con scarsi collegamenti mediatici, arrivando in città, fu travolto dall’incredibile notizia, che la sua tanto attesa opera commemorativa non fosse ancora stata disposta nella sua sede, a causa di un’interminabile diatriba fra critici d’arte, architetti, linguisti, politici e la popolazione tutta ... Egli non riusciva a capire, cosa il suo agente gli stesse dicendo; ma di che stanno parlando: - Non è stato possibile inaugurarla, perché i critici non concordano sul piedistallo? ...- ”  ...  “Come sarebbe? ... Ma se il piedistallo era stato appositamente incluso nell’opera, proprio per semplificare le cose! ...”  “Solo dopo estenuanti discussioni, venne finalmente chiarito che, in sua assenza, si era infiammata un’incontrollabile discussione tra ogni tipo di autorità pubbliche, sul fatto che un’opera ed un piedistallo fossero due entità indipendenti e perciò dovessero svolgere il loro ruolo culturale ed artistico autonomamente; per così dire, in sedi separate, seppure da un sottile strato di malta ..."

===

Secondo voi, questa è una storia vera, o una delle tante “leggende metropolitane”? ...

 ===

Questa occasionale riflessione, nasce da un ricordo personale di gioventù; ho voluto verificare se la storia fosse diffusamente conosciuta, consultando il web e così, con una certa dose di delusione, ho scoperto come il racconto si sia ormai trasformato in una confusa, classica, “leggenda metropolitana”: ognuno la racconta come gli pare, ognuno la personalizza e la attribuisce a questa, o a quella, tradizione culturale, a questo, o a quel, personaggio storico; l’abbellisce dei propri orpelli; la mutila; la stravolge; e via dicendo ... Io, in questo, non sarò da meno e, se ho una scusante, consiste nel fatto che, la prima volta, l’ho sentita durante la mia permanenza in India, terra a cui sembra doversi attribuirne l’origine, raccontata da uno degli studiosi, coi quali ero in contatto allora.
Sembra che, durante una discussione filosofica, nell’agorà di un qualche antico re indù, alcuni saggi pensatori si chiedessero cosa impedisse alla, allora supposta piatta, terra di precipitare nel vuoto del vasto firmamento stellato. Ognuno diceva la sua e non trovavano alcun accordo; fino a quando un giovane adepto,si rivolse al più anziano fra loro, che se ne stava in disparte, silenzioso e distaccato: non ti interessa la nostra diatriba, o nobile maestro? ... Al contrario, rispose il vecchio: è solo, che conosco la risposta ... E quale sia, se non siamo impertinenti, o sapiente? ... Ma è ovvio! Il nostro mondo poggia sul dorso possente di un mansueto elefante ... Tutti restarono ammutoliti; silenti e pensierosi, scambiandosi sguardi, perplessi ed interrogativi ... Fino a quando, il solito giovane spavaldo ruppe il silenzio, con un quesito impertinente: e dove poggiano le poderose zampe di tale animale, o saggio fra i saggi? ... Naturalmente, sul dorso di un altro mastodonte ... Per un’interminabile intervallo, nessuno profferì parola, o fiato, o financo pensiero ... Solo il vento sembrava trovare coraggio, in quegli infiniti istanti di pausa ... Tutti sembravano meditare, umilmente, quelle parole inaspettate e potenti; ma uno di loro, il solito, interruppe quella magia e parlò ... Ma cosa potrà mai sostenere il peso degli elefanti, uno, due, mille, o diecimila, che essi siano, o mio paziente mentore? ... Ancora silenzio e facce accigliate, per quella inconcepibile sfida ... Poi la risposta: una robustissima tartaruga, mio giovane e intraprendente Chātra (allievo) ...
In quella stessa occasione, il mio interlocutore, già allora, mi aveva spiegato come gli “inglesi” (così definiva lui tutti gli stranieri, quando non li etichettava come “mleccha” [म्लेच्छ])  avessero deformato il testo originale, introducendo, fra le altre cose un nuovo finale, nel quale il saggio risponde (traducendo alla buona):
“Vi sono, via, via, elefanti sempre più robusti; ad libitum ...”.

Sia come sia, la storia vorrebbe essere un monito circa il rischio che si corra, nel cercare risposte a domande “circolari”; come: “donde veniamo”; “come nasce il nostro universo”; “c’è prima l’uovo, o la gallina” e simili ... Si finisce regolarmente nella trappola della “regressio ad infinitum”. Se questo è stato vero per Sant’Agostino fra gli altri, sembra invece, che buona parte della fisica teorica dei nostri giorni abbia infine superato l’ostacolo ... IGNORANDOLO! ... Potenza “dell’effetto tunnel culturale” ...

==

En passant. Una delle tragiche conseguenze, di una tale gratuita e proterva sufficienza, si è manifestata in occasione di una, non troppo stagionata, intervista radiofonica, che ho avuto occasione di seguire, in versione “youtubica”, tempo fa. Si discuteva di una appena rilasciata pubblicazione divulgativa, dedicata a concetti di pura fisica teoria ed erano presenti, oltre al moderatore, l’autore del libro, notissimo scienziato nel suo campo, ed un teologo, verosimilmente un creazionista di qualche sorta. Mi ero deciso a seguire il dibattito, perché mi interessava sentire dalle vive parole dell’autore, una qualche giustificazione sensata  per il titolo del saggio, cha a mia opinione era semplicemente insensato. Non è possibile citare nomi e termini esatti, per buonsenso e buongusto; tuttavia si discuteva di un tema che riappare regolarmente negli articoli e documentari divulgativi dedicati a tale materia: il fatto che l’universo possa (come suggerisce la meccanica quantistica in alcune delle sue varianti) essere “saltato fuori dal nulla”. Questa affermazione è tipicamente, per semplificare, utilizzata in vece di quella correttamente formulata, e che suggerisce la possibilità, che l’universo possa essere “emerso”, in conseguenza di quelle che vengono definite: “fluttuazioni quantistiche del vuoto”.
I due ospiti si sono confrontati sul tema, ma paradossalmente, dal mio punto di vista, senza storia:
parroco 1 – scienziato 0 e a casa!!
Il teologo di campagna ha messo alle corde il saputello con tutte le copie del suo libro in un attimo, spiegandogli come non si possa confondere una figura retorica con l’immagine che intende rappresentare.
Quando si afferma il nulla, si sta semplicemente “personalizzando” la negazione di qualcosa:
“Che cosa hai portato per pranzo?”
“Nulla”
“Come, arrosto, oppure in salmì?”
“Che cosa?”
“Nulla arrosto, o nulla in salmì, coi crostini? ...”
“Mi sono scordato la gavetta, va bene così? ...”
“Ah, va bene ... Allora spiegati ... Meglio dire: non ho portato alcunché … Così i “fisici” capiscono meglio! ... E non corri il rischio di scatenare una nuova creazione ...”

Lo stesso dicasi per una teoria che confonda il “vuoto quantistico”, cioè un ambito fisico a densità bassissima, con un termine linguistico di natura puramente metaforica: “niente”, o “nulla” che dir si voglia, non possono dare origine all’universo più di quanto non possano: “alcuni”, “tal altri”, “perbacco!”, “minchia!”, “estremamente”, “tomo tomo cacchio cacchio”, e via farneticando ...
E’ vero, come dice il “parroco” dell’intervista, che dal niente non nasce niente, ma se si smette di confondere una pura negazione con un concetto fisico, allora si potrà sostenere, che il tutto può manifestarsi sotto forma di materia oggi, ovvero sotto l’aspetto infinitesimale e invisibile di una coppia di particelle virtuali, domani ... E, magari, proprio da tali particelle virtuali, in un lontano passato, o futuro, un universo potrebbe sbocciare, trasformando il “vuoto tremulo” dell’indeterminato, nel fuoco “pirotecnico” di un Big Bang.


Ma quante ne so ...



 ==

 ==

Nessun commento: