sabato 21 novembre 2009

giù, al bar dei falliti...

C’era una volta, in un futuro non troppo lontano, una città, piena di gente disperata, come tutte le città che conosco. Io vivevo in quella città disperata, o meglio pensavo di viverci; forse sognavo solo di viverci …
Se mai mi sono svegliato, ho sempre seguito la stessa routine quotidiana, mai un cambiamento, mai una sorpresa.
Anche quella mattina ero sceso giù al bar, senza sapere perché, senza sperare granché.
Mentre mi grattavo un po’ del mio sonno dagli occhi, il solito tipo, anche più spiegazzato di me, si avvicina al banco bofonchiando qualcosa al tenutario. Il tale bofonchia di rimando, ma si capisce che è seccato, poi si schiarisce la voce, per farsi uscire un suono che assomiglia ad una richiesta di delucidazioni. Il tipo spiegazzato si avvicina ancora un po’ e con un filo di voce ed un alito assassino, che si diffonde fino a me, chiede qualcosa per farsi, qualsiasi cosa, ma presto, è urgente, si sente mancare. Con ciò il tipo porge un braccio al barista in un ultimo sforzo immane, mentre la sua testa crolla sul bancone e il suo sedere atterra pesantemente su uno degli sgabelli.
Il barista, con aria stanca, ma professionale, il volto velato dal fumo del suo spinello, l’occhio accigliato nello sforzo della messa a fuoco, provvede ad annodare il laccio intorno al braccio del suo cliente, estrae una siringa pre-confezionata, strappa con la bocca l’involucro ed esegue l’endovenosa con la precisione di un professionista consumato. Dall’involucro recupera un cerottino emostatico che applica con cura sulla puntura. Aggirato il bancone, il nostro samaritano preleva il poveraccio e lo porta in uno dei separé, dove lo sistema su un divanetto, poi torna con aria sconsolata, rimette in piedi lo sgabello che era caduto poco prima, mi guarda, si toglie lo spinello dalla bocca, prende una gran boccata d’aria, scuote la testa , si rimette lo spinello in bocca e ne fissa la punta incandescente mentre aspira il fumo e poi mi chiede se prendo lo stesso anch’io. No, rispondo io. Non so ancora cosa prendo, dico, sono già fatto di mio, forse berrò un caffè e intanto ci penso su, questo dico io, per il momento.
Il barista mi scruta per un po’, un bel po’. Ho capito, dice lui. Poi prende una scopa e si mette a girare per il locale, con la scopa. Non capisco cosa stia facendo, però di sicuro non pulisce il pavimento.
Un po’ di gente rumorosa fuori dalla porta è la prima indicazione che la situazione comincia a movimentarsi. Qualcuno entra, altri si allontano dando appuntamento a più tardi. Io, quasi assopito, ho un sussulto e mi sento, mentre rivolto al barista protesto per il mio caffè mai arrivato. Mentre giro la testa per guardare chi sta entrando, la coda del mio occhio intravvede l’espressione sconsolata del proprietario, rivolta prima al cielo e poi alla tazzina vuota bloccata all’interno del mio gomito e poi di nuovo al cielo.
Mentre saluto gli amici, che stanno entrando, con un cenno della mano, il braccio si alza e la tazzina finisce dove è logico che finisca e con gran fragore. Fisica, nient’altro che fisica elementare, … Watson!
L’uomo esce da dietro il bancone e preleva ancora una volta la sua scopa, poi punta minaccioso verso di me, ma io sono sicuro che non mi farà del male. Non farà del male a me e, come al solito, non farà granché neppure al pavimento.
Mentre la scopa stancamente, ma con metodo, lasciava lì dov’erano tutti i cocci e lo sporco di chissà quanti altri casi della vita, il rumore provocato dagli eventi sembrava aver richiamato, da un qualche al di là, il tipo stropicciato di prima, perché dall’interno del separé s’intravvede la sua ombra incerta che si muove ed il rumore di passi strascicati sembra avvicinarsi lentamente.
Che cosa mi hai iniettato, bastardo! Un decimo di una dose? O forse qualcosa di meno? Dammi il resto, bastardo! Dice il tipo. E’ qui sul bancone, vieni a prendertela, se vuoi, ma prima dovrai pagarla. Era la voce del proprietario della scopa, che, senza entusiasmo, agitava la siringa, nella quale si poteva distinguere ancora una buona parte del liquido scuro. Lo sai che la devi pagare, lo sai che io sono tenuto solo ad interventi minimi nei casi di emergenza; tutto questo lo sai, ma mi tocca ogni volta ripetere le stesse cose a te e a tutti voi assatanati, ecco perché poi mi drogo anch’io! Per la disperazione, fottuti tossici.
Il tipo si avvicina al bancone, prende la siringa, se la inietta in vena attraverso il cerotto e la butta per terra; ora mia tazzina rotta non si sente più sola. Il tipo resta inerte per alcuni secondi, fissando il vuoto, poi si guarda intorno e, vedendo che nel locale ci siamo noi, dispiega un sorriso patetico e ci chiede se qualcuno ha voglia di farsi una partita a scacchi. Il barista insiste con lui per farsi pagare, poi lo riporta nel separé e lo risistema sul solito divanetto.
Ormai il nostro gruppo si è sistemato ad un tavolo e già si è accesa la discussione sui soliti argomenti da bar, ma proprio mentre sto per dire la mia, dal separé arriva una voce, anche lei piuttosto stropicciata, che ci lascia interdetti. Io ho trovato un alieno in spiaggia, mentre venivo qui, volete vederlo? Ce l’ho in tasca, venite qui e qualcuno mi aiuti a mettermi seduto. Ora ad essere stropicciati erano i nostri occhi; tutti noi eravamo nel separé a chiederci che cosa si fosse iniettato quel tipo …
Vincendo i dubbi e lo scetticismo, cercavamo di farci spiegare di cosa stesse parlando. Ma per tutta risposta il nostro cercava in tutti i modi di infilare una mano in tasca. Finalmente ci riesce ed estrae una specie di quegli antichi orologi da tasca, ma di una foggia mai vista. Questo è un oggetto extra-sistema, dice il tipo, era nella sabbia, come una qualsiasi conchiglia, ma non può essere di questo pianeta …
Mentre ancora sta finendo di parlare, una gragnola di nostre domande lo investe e lui ritroso si tappa le orecchie con le mani e strizza gli occhi scuotendo la testa ed urlando. Basta, basta! Mi scoppia la testa; non urlate così, non parlate tutti insieme!
Mentre eravamo intenti a guardalo scuotersi di dosso le nostre insistenze, la risposta a noi e la conferma della sua versione si manifestò. L’oggetto si era messo a vibrare, come di solito fanno i cellulari in modalità silenziosa. Il rumore sordo era accompagnato dal leggero tremore a contatto con la superficie del tavolo, per un breve periodo, perché poi, lentamente, l’oggetto non era più appoggiato al tavolo, ma a qualche centimetro di altezza e non emetteva più alcun suono.
Forse, alla fin fine, il tipo stropicciato non aveva tutti i torti! Ma se questo legittimo dubbio ci aveva assaliti, vedendo quello che avevamo visto, quello che dovevamo vedere, ci avrebbe fatto dubitare anche di noi stessi.
Mentre mi stavo ancora chiedendo se il gadget fosse uno scherzo elaborato, magari grazie ad un qualche trucco magnetico, la parte superiore dell’oggetto aveva ruotato di qualche grado e si era sollevata di qualche millimetro rispetto al fondo, lasciando intravvedere un’apertura. Un oggetto del tutto simile a quello principale stava emergendo dall’interno e appena fuori dal corpo principale dalla sua superficie fuoriuscivano delle sottilissime antenne o forse meglio dire dei flagelli, in continuo movimento: tutta la superficie ne era ricoperta, anche se non erano molto fitti.
A questo punto il sorriso del tipo stropicciato era smagliante e le nostre bocche più che aperte, spalancate.
Lo stupore ci aveva ammutoliti; io avevo un tale turbinio di pensieri in testa da non capire più in quanti fossimo.
E’ o non è alieno, secondo voi? Il tipo gongolava nel fare la domanda, ora gli era passata la dormia, era arzillo il bastardo e quelli strafatti eravamo noi.
L’apparecchietto fuoriuscito stava gironzolando da un po’ per il tavolo, quando, dopo essere andato avanti e indietro rispetto al punto iniziale diverse volte, si era diretto deciso verso uno dei presenti, il quale, colto dal panico, aveva preso ad allontanarsi. Non avere paura, dice il tipo, lascialo avvicinare, non è pericoloso!


Quello non è alieno, lo facciamo noi … quelli dei piani alti li hanno spediti in tutto l’universo per esplorarlo, ma molti prototipi sono andati persi in atmosfera.
Nel dire questo, il barista aveva posato la scopa e stava scuotendo la cenere dal suo spinello.
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