venerdì 11 maggio 2018

Perché …?




Secondo Liebnitz, nonché Heidegger, la questione filosofica fondamentale si pone nei seguenti termini: “Perché c'è qualcosa piuttosto che niente?”
Dal mio punto di vista, questa come, ogni altra questione espressa tramite un “perché”, merita la solita risposta: “Perché no?”
Potrebbe sembrare una battuta, un’eccessiva semplificazione, o magari una fanfaronata … ma non secondo me: io sostengo che se la risposta è quello che è, il motivo è conseguenza di una domanda mal posta … Ogni volta che una domanda esordisce con un “Perché   ?”, si DEVE rispondere con un “Perché no?!” …
Domandare il “Perché” delle cose è tipico dei bambini, ovvero di una mentalità infantile nell’affrontare le questioni: il perché ha a che fare con le cause “presunte” riferite a se stessi, mentre la comprensione che porta a scoprire i fatti e le loro connessioni si ottiene scoprendo il “come” … le cose avvengano e dunque: “Come siamo giunti a questo punto e cosa possiamo aspettarci appresso?” … ma vorrebbe pur sempre dire che finora abbiamo dormito della grossa!



Partiamo con un esempio elementare. Un bambino potrebbe per esempio chiedere al genitore, durante un temporale, perché ci siano i fulmini … Indipendentemente dalla risposta occasionale che possa ricevere, negli anni successivi, andando a scuola, gli verrebbe spiegato il ciclo atmosferico, con l’evaporazione, le precipitazioni, l’elettricità statica fra le nuvole e le conseguenti scariche a terra … Il tutto risolverebbe linearmente tutti i possibili “perché” ingenui di un bimbo grazie ad un elenco naturale di “come”. 
Alla stessa maniera nella quale per un bimbo il fulmine (e il tuono!) è un mistero e solleva un perché stupefatto (RIFERITO A SE STESSO E ALLE SUE PAURE !!!), anche i misteri del cosmo possono, in un adulto sprovveduto, sollevare dei perché … in mancanza degli appositi come! … 
Dunque: Come siamo giunti a questo punto e cosa possiamo aspettarci appresso? …

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I mezzi di cui disponiamo oggi per osservare l’universo ci dicono quanto segue:





Circa il 96% delle componenti “note” del nostro universo ci sono del tutto ignote! … Circa il 4% delle componenti "note" sono in effetti abbastanza note e ci forniscono tutto il sapere di cui disponiamo attualmente …

Ecco un buon motivo per i nostri attuali ... “Perché ...?”


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P.S. Ho appena affermato che non abbiamo elementi sufficienti per un’analisi qualitativa, tuttavia può essere utile percorrere la strada di un’analisi quantitativa … Dopotutto abbiamo perlomeno la quasi certezza che le quantità misurate siano giuste e con buona approssimazione si può pensare che tali quantità non nascondano grande messe di dettagli (per quanto non tutti sarebbero d’accordo su questo mio assunto).
Spesso per progredire occorre azzardare e questo è uno sport assai diffuso ai giorni nostri, quindi mi lascerò trascinare - per una volta – dalla “massa”. Il mio punto di partenza vuole essere un breve sconfinamento nella metafisica, ma con puro intento euristico: anelo quindi alla critica più severa e stringente su quanto sto per affermare e ribadisco che non v’è alcuna certezza che non sia derivata dal duro e serio lavoro altrui e che eventuali sciocchezze mi appartengono a pieno titolo.
Come affrontare dunque l’innegabile presenza fisica dell’universo, senza chiedersi dei banali “Perché”,  introducendo invece alcuni utili e proattivi “come” … La nostra regola di base è sempre la stessa: basiamoci sui fatti.
L’universo che (tutti noi) osserviamo è il primo fatto innegabile da cui partire e possiamo concordare penso che alle nostre osservazioni personali possiamo associare anche tutte quelle – ben più corpose – che gli strumenti scientifici ci offrono: l’universo dunque c’è e risponde non solo ai nostri sensi biologici ma  anche a una vasta e variegata quantità di strumenti tecnologici, assai meno soggetti di noi alle sviste e alle illusioni soggettive.
Molto più spesso di quanto si creda, la scienza ci ha insegnato, le differenze quantitative importanti presagiscono delle differenze  sostanziali: dai miliardi di cellule neuronali all’interno di un cranio possono emergere i concetti e i pensieri umani, per fare un esempio. Allo stesso modo, nell’universo, grandi masse concentrate in poco spazio possono generare fenomeni un tempo impensabili, leggi stelle di neutroni, buchi neri e quant’altro. Questo per introdurre l’idea che l’enorme quantità di Energia Oscura che sembra pervadere l’universo non può essere lì per caso e non può ragionevolmente fare solo da “tappabuchi” alle nostre teorie scientifiche correnti … Se oggi, per fare solo un esempio, il cosmo è composto al 73% di Energia Oscura e se all’origine esso era un’entità piccolissima (subito prima del Big Bang), a quel punto che ne era dell’immensa energia che oggi alimenta l’espansione cosmica? … Sappiamo che l’energia non può essere distrutta, ma solo trasformata … e allora? … trasformata in cosa? …
Cosa faceva nella singolarità iniziale tutto quel 73% di Energia Oscura insieme a tutto il resto della massa-energia che oggi osserviamo? … E come facevano a convivere insieme? … E come mai, se potevano convivere, non hanno continuato a farlo? … Siamo tornati ancora ai mistici “Perché?” ...
E’ l’immancabile tentazione a misurare tutto col nostro metro e con le nostre paure …
Io darò una risposta a questa apparente contraddizione, ma è solo un’ipotesi di lavoro, un ponte verso una riva ancora invisibile …
Al momento in cui tutta l’energia dell’universo doveva essere concentrata in un singolo punto, pronto a deflagrare, una simmetria superiore consentiva a forze contrastanti di confluire momentaneamente – come due poli uguali di un magnete pressati a forza l’uno contro l’altro – ma solo per respingersi violentemente subito dopo; la (iper-)simmetria in questione ha un prezzo: l’instabilità intrinseca infinita e quindi l’istantanea distruzione della medesima. Alcuni chiamano qualcosa di simile con un nome: the Big Bounce”. Non voglio né prendermi meriti altrui, né confondere il loro duro e serio lavoro con le mie vaghezze … A ognuno il suo.

La cosa che voglio sottolineare è piuttosto come sia sempre utile mettere alla prova le idee, anche le più spinte, ed essere sempre pronti ad accogliere quelle che funzionano meglio.


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P.S.2 In tempi più recenti, alcuni scienziati hanno ripreso questo dibattito liebnitziano, a mio parere in modo alquanto superficiale, portandolo dal piano puramente filosofico direttamente a quello scientifico e chiedendosi seriamente (?) se la realtà fisica non sia effettivamente emersa dal nulla.
Qui ci troviamo di fronte a due possibili tipi di stupore: quello del profano che si chiede come si possa tecnicamente affermare ciò da parte di un fisico teorico e quello del puro buon senso, che ci fa domandare dove abbiano imparato la lingua parlata queste persone ...
Cominciamo da quest’ultimo aspetto: se andate su Youtube potete facilmente trovare diversi filmati su questo argomento, molti dei quali in forma di pubblico dibattito fra i diretti protagonisti. Quello che ha divertito me più di tutti - e allo stesso tempo mi è parso più tagliente ed efficace - riguarda l’intervista ad un tipico reverendo anglosassone (ma potrebbe trattarsi altrettanto facilmente dell’ultimo Don Abbondio della nostra più sperduta campagna italica, che, come è noto di tutti i preti, avrebbe studiato il latino, la teologia e la metafisica in seminario). Di fronte alla sprovveduta affermazione secondo la quale l’intero universo sarebbe emerso dal nulla, il nostro reverendo (anche lui istruito in apposite scuole di teologia e metafisica, nonché della propria lingua madre) ha esordito dando dell’asino allo scienziato in questione e non senza ragione! …
C’è differenza nell’uso del linguaggio che adottiamo correntemente, ovvero in ambito filosofico, e quello che si possa legittimamente utilizzare in ambito scientifico, facciamo qualche esempio. Se dico: “Oggi ho mangiato molto poco”, oppure “Oggi ho mangiato praticamente niente”, penso sia chiaro a tutti come “molto poco” e “praticamente niente” svolgano la funzione di avverbi e a nessuno di noi, voglio sperare, verrebbe in mente di rispondere, per esempio: “E che sapore ha?”, oppure “E ti è piaciuto?”, ecc.
L’uso di termini come “nulla”, o “niente”, nel nostro linguaggio, nella forma di cui sopra, sottintende una negazione e nient’altro; pur affermando di aver mangiato, utilizziamo poi un avverbio che nega il verbo, accentuandone l’effetto finale; né ci aspettiamo che  alcuno confonderà il senso, deducendone che niente, poco, o nulla, possano avere una propria “sostanza reale”, dotata magari di sapore …
Allo stesso modo, il reverendo del nostro dibattito deride legittimamente l’ingenuo scienziato, che vada alla ricerca di un effetto mediatico con questi mezzucci. L’intero universo non può derivare dal nulla, se non altro perché il presunto “nulla” è solo un avverbio.
Sì, ma … Come viene in mente un’affermazione del genere ad uno scienziato? … Confusione metafisico-linguistica a parte, stiamo parlando del titolo di un libro destinato alla cosiddetta “divulgazione scientifica” e fa specie che si voglia educare … diseducando.
Troppe metafore vengono utilizzate, che non fanno che confondere le idee, invece che educare … e questo è un vizio che coinvolge anche le scuole. Si veda, il classico esempio della cosiddetta “massa relativistica” (*), che ancora contribuisce a creare confusione sulla Teoria della Relatività Speciale, sia tra gli studenti, che tra il più vasto pubblico.
Torniamo al nostro titolo: cosa può esserci di “serio” dietro ad una affermazione così clamorosa? … Si gioca ovviamente sull’equivoco e questo secondo me è già riprovevole di per sé. L’equivoco è nella “personalizzazione”, per  così dire,  del temine “nulla”, nella sua trasformazione in una presunta, non meglio specificata, “sostanza”, che si possa quindi contrapporre al “tutto”, che rappresenterebbe l’intero universo.
Cosa c’è dietro? … Nient’altro che l’ennesima manipolazione dei paradossi presenti nella Meccanica Quantistica e nella confinante Elettrodinamica Quantistica: queste due metodologie di studio della realtà fisica, se spinte al limite, possono portare a concludere che, in assenza di materia, nel cosiddetto “vuoto quantistico” persisterebbe comunque, inevitabilmente, una “turbolenza intrinseca” della natura, dalla quale tutto può essere emerso nelle forme che attualmente osserviamo e che denominiamo universo. Il paradosso in questione ci porta a concludere come in nessun caso, date le nostre osservazioni e misurazioni attuali, il cosiddetto “vuoto” implichi la mancanza – o la sparizione - del totale dell’energia che compone il nostro universo; ovvero il “vuoto” è una delle forme che assumerebbe l’energia all’interno di questa logica e ancora, in ultima analisi, l’energia è conservata sempre e comunque, non può essere distrutta, ma solo trasformata. Se osservassimo “il nulla” (nel patetico esempio di cui sopra) esso ci apparirebbe come una delle forme assunte dall’energia in condizioni particolari, quelle condizioni che in termini più corretti dovremmo chiamare “vuoto quantistico”, il quale a sua volta sarebbe permeato dalle cosiddette “fluttuazioni quantistiche”, che sono tutt’altro che … NULLA !
Un buon astronomo vi potrebbe spiegare meglio di me, come osservando le più estreme profondità dello spazio, il satellite Planck (solo l’ultimo della serie) sia stato in grado di “fotografare” la Radiazione Cosmica di Fondo a Microonde (per gli amici intimi: C.M.B.) e come questa sia appunto una mappa delle fluttuazioni quantistiche primordiali, le quali hanno portato, nel tempo, alla cocmparsa delle strutture cosmologiche dell’universo che conosciamo.



La prima Legge della Termodinamica, fin dai tempi della scuola, ci ha insegnato che l’energia si trasforma continuamente ma non si distrugge … la meccanica quantistica ci ha aiutato a capire come ciò sia perfettamente logico, anche a livello … universale.


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(*) Per approfondimenti sul tema vi rimando a Youtube.




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(Image credit: publicly available)
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