Secondo Liebnitz, nonché Heidegger, la
questione filosofica fondamentale si pone nei seguenti termini: “Perché c'è
qualcosa piuttosto che niente?”
Dal mio punto di vista, questa come, ogni
altra questione espressa tramite un “perché”, merita la solita risposta: “Perché
no?”
Potrebbe sembrare una battuta, un’eccessiva
semplificazione, o magari una fanfaronata … ma non secondo me: io sostengo che
se la risposta è quello che è, il motivo è conseguenza di una domanda mal
posta … Ogni volta che una domanda esordisce con un “Perché ?”, si DEVE rispondere con un “Perché no?!” …
Domandare il “Perché” delle cose è tipico dei
bambini, ovvero di una mentalità infantile nell’affrontare le questioni: il
perché ha a che fare con le cause “presunte” riferite a se stessi, mentre la
comprensione che porta a scoprire i fatti e le loro connessioni si ottiene
scoprendo il “come” … le cose avvengano e dunque: “Come siamo giunti a questo
punto e cosa possiamo aspettarci appresso?” … ma vorrebbe pur sempre dire che
finora abbiamo dormito della grossa!
Partiamo con un esempio elementare. Un
bambino potrebbe per esempio chiedere al genitore, durante un temporale, perché
ci siano i fulmini … Indipendentemente dalla risposta occasionale che possa
ricevere, negli anni successivi, andando a scuola, gli verrebbe spiegato il
ciclo atmosferico, con l’evaporazione, le precipitazioni, l’elettricità statica
fra le nuvole e le conseguenti scariche a terra … Il tutto risolverebbe
linearmente tutti i possibili “perché” ingenui di un bimbo grazie ad un elenco
naturale di “come”.
Alla stessa maniera nella quale per un bimbo
il fulmine (e il tuono!) è un mistero e solleva un perché stupefatto (RIFERITO A SE STESSO E ALLE SUE
PAURE !!!), anche i
misteri del cosmo possono, in un adulto sprovveduto, sollevare dei perché … in
mancanza degli appositi come! …
Dunque: Come siamo giunti a questo punto e
cosa possiamo aspettarci appresso? …
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I mezzi di cui disponiamo oggi per osservare
l’universo ci dicono quanto segue:
Circa il 96% delle componenti “note” del
nostro universo ci sono del tutto ignote! … Circa il 4% delle componenti "note" sono in effetti abbastanza note e ci forniscono tutto il sapere di cui disponiamo
attualmente …
Ecco un buon motivo per i nostri attuali ... “Perché ...?”
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P.S. Ho appena affermato che non abbiamo
elementi sufficienti per un’analisi qualitativa, tuttavia può essere utile
percorrere la strada di un’analisi quantitativa … Dopotutto abbiamo perlomeno
la quasi certezza che le quantità misurate siano giuste e con buona
approssimazione si può pensare che tali quantità non nascondano grande messe di
dettagli (per quanto non tutti sarebbero d’accordo su questo mio assunto).
Spesso per progredire occorre azzardare e
questo è uno sport assai diffuso ai giorni nostri, quindi mi lascerò trascinare
- per una volta – dalla “massa”. Il mio punto di partenza vuole essere un breve
sconfinamento nella metafisica, ma con puro intento euristico: anelo quindi
alla critica più severa e stringente su quanto sto per affermare e ribadisco
che non v’è alcuna certezza che non sia derivata dal duro e serio lavoro altrui
e che eventuali sciocchezze mi appartengono a pieno titolo.
Come affrontare dunque l’innegabile presenza
fisica dell’universo, senza chiedersi dei banali “Perché”, introducendo invece alcuni utili e proattivi “come”
… La nostra regola di base è sempre la stessa: basiamoci sui fatti.
L’universo che (tutti noi) osserviamo è il primo
fatto innegabile da cui partire e possiamo concordare penso che alle nostre
osservazioni personali possiamo associare anche tutte quelle – ben più corpose –
che gli strumenti scientifici ci offrono: l’universo dunque c’è e risponde non
solo ai nostri sensi biologici ma anche
a una vasta e variegata quantità di strumenti tecnologici, assai meno soggetti
di noi alle sviste e alle illusioni soggettive.
Molto più spesso di quanto si creda, la
scienza ci ha insegnato, le differenze quantitative importanti presagiscono delle
differenze sostanziali: dai miliardi di
cellule neuronali all’interno di un cranio possono emergere i concetti e i
pensieri umani, per fare un esempio. Allo stesso modo, nell’universo, grandi
masse concentrate in poco spazio possono generare fenomeni un tempo impensabili,
leggi stelle di neutroni, buchi neri e quant’altro. Questo per introdurre l’idea
che l’enorme quantità di Energia Oscura che sembra pervadere l’universo non può
essere lì per caso e non può ragionevolmente fare solo da “tappabuchi” alle
nostre teorie scientifiche correnti … Se oggi, per fare solo un esempio, il
cosmo è composto al 73% di Energia Oscura e se all’origine esso era un’entità
piccolissima (subito prima del Big Bang), a quel punto che ne era dell’immensa energia
che oggi alimenta l’espansione cosmica? … Sappiamo che l’energia non può essere
distrutta, ma solo trasformata … e allora? … trasformata in cosa? …
Cosa faceva nella singolarità iniziale tutto
quel 73% di Energia Oscura insieme a tutto il resto della massa-energia che
oggi osserviamo? … E come facevano a convivere insieme? … E come mai, se
potevano convivere, non hanno continuato a farlo? … Siamo tornati ancora ai mistici
“Perché?” ...
E’ l’immancabile tentazione a misurare tutto
col nostro metro e con le nostre paure …
Io darò una risposta a questa apparente
contraddizione, ma è solo un’ipotesi di lavoro, un ponte verso una riva ancora
invisibile …
Al momento in cui tutta l’energia dell’universo
doveva essere concentrata in un singolo punto, pronto a deflagrare, una
simmetria superiore consentiva a forze contrastanti di confluire
momentaneamente – come due poli uguali di un magnete pressati a forza l’uno
contro l’altro – ma solo per respingersi violentemente subito dopo; la (iper-)simmetria
in questione ha un prezzo: l’instabilità intrinseca infinita e quindi l’istantanea
distruzione della medesima. Alcuni chiamano qualcosa di simile con un nome: the
Big Bounce”. Non voglio né prendermi meriti altrui, né confondere il loro duro
e serio lavoro con le mie vaghezze … A ognuno il suo.
La cosa che voglio sottolineare è piuttosto
come sia sempre utile mettere alla prova le idee, anche le più spinte, ed essere
sempre pronti ad accogliere quelle che funzionano meglio.
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P.S.2 In tempi più recenti, alcuni
scienziati hanno ripreso questo dibattito liebnitziano, a mio parere in modo
alquanto superficiale, portandolo dal piano puramente filosofico direttamente a
quello scientifico e chiedendosi seriamente (?) se la realtà fisica non sia effettivamente
emersa dal nulla.
Qui ci troviamo di fronte a due possibili
tipi di stupore: quello del profano che si chiede come si possa tecnicamente affermare
ciò da parte di un fisico teorico e quello del puro buon senso, che ci fa
domandare dove abbiano imparato la lingua parlata queste persone ...
Cominciamo da quest’ultimo aspetto: se andate
su Youtube potete facilmente trovare diversi filmati su questo argomento, molti
dei quali in forma di pubblico dibattito fra i diretti protagonisti. Quello che
ha divertito me più di tutti - e allo stesso tempo mi è parso più tagliente ed
efficace - riguarda l’intervista ad un tipico reverendo anglosassone (ma
potrebbe trattarsi altrettanto facilmente dell’ultimo Don Abbondio della nostra
più sperduta campagna italica, che, come è noto di tutti i preti, avrebbe
studiato il latino, la teologia e la metafisica in seminario). Di fronte alla
sprovveduta affermazione secondo la quale l’intero universo sarebbe emerso dal
nulla, il nostro reverendo (anche lui istruito in apposite scuole di teologia e
metafisica, nonché della propria lingua madre) ha esordito dando dell’asino
allo scienziato in questione e non senza ragione! …
C’è differenza nell’uso del linguaggio che adottiamo
correntemente, ovvero in ambito filosofico, e quello che si possa
legittimamente utilizzare in ambito scientifico, facciamo qualche esempio. Se
dico: “Oggi ho mangiato molto poco”, oppure “Oggi ho mangiato praticamente
niente”, penso sia chiaro a tutti come “molto poco” e “praticamente niente”
svolgano la funzione di avverbi e a nessuno di noi, voglio sperare, verrebbe in
mente di rispondere, per esempio: “E che sapore ha?”, oppure “E ti è piaciuto?”,
ecc.
L’uso di termini come “nulla”, o “niente”,
nel nostro linguaggio, nella forma di cui sopra, sottintende una negazione e
nient’altro; pur affermando di aver mangiato, utilizziamo poi un avverbio che
nega il verbo, accentuandone l’effetto finale; né ci aspettiamo che alcuno confonderà il senso, deducendone che niente,
poco, o nulla, possano avere una propria “sostanza reale”, dotata magari di sapore
…
Allo stesso modo, il reverendo del nostro
dibattito deride legittimamente l’ingenuo scienziato, che vada alla ricerca di
un effetto mediatico con questi mezzucci. L’intero universo non può derivare
dal nulla, se non altro perché il presunto “nulla” è solo un avverbio.
Sì, ma … Come viene in mente un’affermazione
del genere ad uno scienziato? … Confusione metafisico-linguistica a parte,
stiamo parlando del titolo di un libro destinato alla cosiddetta “divulgazione
scientifica” e fa specie che si voglia educare … diseducando.
Troppe metafore vengono utilizzate, che non
fanno che confondere le idee, invece che educare … e questo è un vizio che
coinvolge anche le scuole. Si veda, il classico esempio della cosiddetta “massa
relativistica” (*), che ancora contribuisce a creare confusione sulla Teoria
della Relatività Speciale, sia tra gli studenti, che tra il più vasto pubblico.
Torniamo al nostro titolo: cosa può esserci
di “serio” dietro ad una affermazione così clamorosa? … Si gioca ovviamente
sull’equivoco e questo secondo me è già riprovevole di per sé. L’equivoco è
nella “personalizzazione”, per così
dire, del temine “nulla”, nella sua
trasformazione in una presunta, non meglio specificata, “sostanza”, che si possa
quindi contrapporre al “tutto”, che rappresenterebbe l’intero universo.
Cosa c’è dietro? … Nient’altro che l’ennesima
manipolazione dei paradossi presenti nella Meccanica Quantistica e nella
confinante Elettrodinamica Quantistica: queste due metodologie di studio della realtà
fisica, se spinte al limite, possono portare a concludere che, in assenza di
materia, nel cosiddetto “vuoto quantistico” persisterebbe comunque,
inevitabilmente, una “turbolenza intrinseca” della natura, dalla quale tutto
può essere emerso nelle forme che attualmente osserviamo e che denominiamo
universo. Il paradosso in questione ci porta a concludere come in nessun caso,
date le nostre osservazioni e misurazioni attuali, il cosiddetto “vuoto”
implichi la mancanza – o la sparizione - del totale dell’energia che compone il
nostro universo; ovvero il “vuoto” è una delle forme che assumerebbe l’energia
all’interno di questa logica e ancora, in ultima analisi, l’energia è
conservata sempre e comunque, non può essere distrutta, ma solo trasformata. Se
osservassimo “il nulla” (nel patetico esempio di cui sopra) esso ci apparirebbe
come una delle forme assunte dall’energia in condizioni particolari, quelle
condizioni che in termini più corretti dovremmo chiamare “vuoto quantistico”,
il quale a sua volta sarebbe permeato dalle cosiddette “fluttuazioni quantistiche”,
che sono tutt’altro che … NULLA !
Un buon astronomo vi potrebbe spiegare meglio
di me, come osservando le più estreme profondità dello spazio, il satellite Planck
(solo l’ultimo della serie) sia stato in grado di “fotografare” la Radiazione Cosmica
di Fondo a Microonde (per gli amici intimi: C.M.B.) e come questa sia appunto
una mappa delle fluttuazioni quantistiche primordiali, le quali hanno portato, nel
tempo, alla cocmparsa delle strutture cosmologiche dell’universo che
conosciamo.
La prima Legge della Termodinamica, fin dai tempi
della scuola, ci ha insegnato che l’energia si trasforma continuamente ma non si
distrugge … la meccanica quantistica ci ha aiutato a capire come ciò sia
perfettamente logico, anche a livello … universale.
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(*) Per approfondimenti sul tema vi rimando a
Youtube.
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(Image credit: publicly available)
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