[Can you ever conceive of a "pedestal" within the very statue?]
Abstract: “Una volta
uno scultore equestre, per far risparmiare il committente, decise di includere
un bel piedistallo nella stessa statua, che gli avevano commissionato. In
questo modo, egli pensò, il suo cliente sarebbe stato oltremisura soddisfatto di
quella suo premura e avrebbe certo sponsorizzato fattivamente il suo lavoro.
Compiaciuto della sua pensata, si era concesso una lunga vacanza di studio,
lasciando al suo agente l’incombenza della consegna dell’opera e di tutte le formalità
conseguenti; certo che al suo ritorno avrebbe goduto del plauso e dei benefici
di un’opera già nota al vasto pubblico, nella sua città ... “ “Diversi mesi dopo, al ritorno dal suo tour sabbatico,
in un paese del terzo mondo, con scarsi collegamenti mediatici, arrivando in città,
fu travolto dall’incredibile notizia, che la sua tanto attesa opera
commemorativa non fosse ancora stata disposta nella sua sede, a causa di un’interminabile
diatriba fra critici d’arte, architetti, linguisti, politici e la popolazione
tutta ... Egli non riusciva a capire, cosa il suo agente gli stesse dicendo; ma
di che stanno parlando: - Non è stato possibile inaugurarla, perché i critici
non concordano sul piedistallo? ...- ” ... “Come
sarebbe? ... Ma se il piedistallo era stato appositamente incluso nell’opera,
proprio per semplificare le cose! ...” “Solo
dopo estenuanti discussioni, venne finalmente chiarito che, in sua assenza, si
era infiammata un’incontrollabile discussione tra ogni tipo di autorità pubbliche,
sul fatto che un’opera ed un piedistallo fossero due entità indipendenti e
perciò dovessero svolgere il loro ruolo culturale ed artistico autonomamente;
per così dire, in sedi separate, seppure da un sottile strato di malta ..."
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Secondo voi, questa è
una storia vera, o una delle tante “leggende
metropolitane”? ...
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Questa occasionale riflessione,
nasce da un ricordo personale di gioventù; ho voluto verificare se la storia
fosse diffusamente conosciuta, consultando il web e così, con una certa dose di
delusione, ho scoperto come il racconto si sia ormai trasformato in una
confusa, classica, “leggenda metropolitana”:
ognuno la racconta come gli pare, ognuno la personalizza e la attribuisce a
questa, o a quella, tradizione culturale, a questo, o a quel, personaggio
storico; l’abbellisce dei propri orpelli; la mutila; la stravolge; e via
dicendo ... Io, in questo, non sarò da meno e, se ho una scusante, consiste nel
fatto che, la prima volta, l’ho sentita durante la mia permanenza in India,
terra a cui sembra doversi attribuirne l’origine, raccontata da uno degli
studiosi, coi quali ero in contatto allora.
Sembra che, durante
una discussione filosofica, nell’agorà di un qualche antico re indù, alcuni
saggi pensatori si chiedessero cosa impedisse alla, allora supposta piatta,
terra di precipitare nel vuoto del vasto firmamento stellato. Ognuno diceva la
sua e non trovavano alcun accordo; fino a quando un giovane adepto,si rivolse
al più anziano fra loro, che se ne stava in disparte, silenzioso e distaccato:
non ti interessa la nostra diatriba, o nobile maestro? ... Al contrario,
rispose il vecchio: è solo, che conosco la risposta ... E quale sia, se non
siamo impertinenti, o sapiente? ... Ma è ovvio! Il nostro mondo poggia sul
dorso possente di un mansueto elefante ... Tutti restarono ammutoliti; silenti
e pensierosi, scambiandosi sguardi, perplessi ed interrogativi ... Fino a
quando, il solito giovane spavaldo ruppe il silenzio, con un quesito
impertinente: e dove poggiano le poderose zampe di tale animale, o saggio fra i
saggi? ... Naturalmente, sul dorso di un altro mastodonte ... Per
un’interminabile intervallo, nessuno profferì parola, o fiato, o financo
pensiero ... Solo il vento sembrava trovare coraggio, in quegli infiniti
istanti di pausa ... Tutti sembravano meditare, umilmente, quelle parole
inaspettate e potenti; ma uno di loro, il solito, interruppe quella magia e
parlò ... Ma cosa potrà mai sostenere il peso degli elefanti, uno, due, mille,
o diecimila, che essi siano, o mio paziente mentore? ... Ancora silenzio e
facce accigliate, per quella inconcepibile sfida ... Poi la risposta: una
robustissima tartaruga, mio giovane e intraprendente Chātra (allievo) ...
In quella stessa
occasione, il mio interlocutore, già allora, mi aveva spiegato come gli
“inglesi” (così definiva lui tutti gli stranieri, quando non li etichettava
come “mleccha” [म्लेच्छ]) avessero deformato il testo originale, introducendo,
fra le altre cose un nuovo finale, nel quale il saggio risponde (traducendo
alla buona):
“Vi sono, via, via, elefanti
sempre più robusti; ad libitum ...”.
Sia come sia, la
storia vorrebbe essere un monito circa il rischio che si corra, nel cercare
risposte a domande “circolari”; come: “donde veniamo”; “come nasce il nostro
universo”; “c’è prima l’uovo, o la gallina” e simili ... Si finisce
regolarmente nella trappola della “regressio
ad infinitum”. Se questo è stato vero per Sant’Agostino fra gli altri,
sembra invece, che buona parte della fisica teorica dei nostri giorni abbia infine
superato l’ostacolo ... IGNORANDOLO! ... Potenza
“dell’effetto tunnel culturale” ...
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En passant. Una delle tragiche
conseguenze, di una tale gratuita e proterva sufficienza, si è manifestata in
occasione di una, non troppo stagionata, intervista radiofonica, che ho avuto
occasione di seguire, in versione “youtubica”, tempo fa. Si discuteva di una
appena rilasciata pubblicazione divulgativa, dedicata a concetti di pura fisica
teoria ed erano presenti, oltre al moderatore, l’autore del libro, notissimo
scienziato nel suo campo, ed un teologo, verosimilmente un creazionista di
qualche sorta. Mi ero deciso a seguire il dibattito, perché mi interessava
sentire dalle vive parole dell’autore, una qualche giustificazione sensata per il titolo del saggio, cha a mia opinione
era semplicemente insensato. Non è possibile citare nomi e termini esatti, per
buonsenso e buongusto; tuttavia si discuteva di un tema che riappare
regolarmente negli articoli e documentari divulgativi dedicati a tale materia:
il fatto che l’universo possa (come suggerisce la meccanica quantistica in alcune
delle sue varianti) essere “saltato fuori dal nulla”. Questa affermazione è tipicamente,
per semplificare, utilizzata in vece di quella correttamente formulata, e che suggerisce
la possibilità, che l’universo possa essere “emerso”, in conseguenza di quelle
che vengono definite: “fluttuazioni quantistiche del vuoto”.
I due ospiti si sono
confrontati sul tema, ma paradossalmente, dal mio punto di vista, senza storia:
parroco 1 – scienziato 0 e a casa!!
Il teologo di
campagna ha messo alle corde il saputello con tutte le copie del suo libro in un
attimo, spiegandogli come non si possa confondere una figura retorica con l’immagine
che intende rappresentare.
Quando si afferma il
nulla, si sta semplicemente “personalizzando” la negazione di qualcosa:
“Che cosa hai portato
per pranzo?”
“Nulla”
“Come, arrosto,
oppure in salmì?”
“Che cosa?”
“Nulla arrosto, o
nulla in salmì, coi crostini? ...”
“Mi sono scordato la
gavetta, va bene così? ...”
“Ah, va bene ...
Allora spiegati ... Meglio dire: non ho portato alcunché … Così i “fisici”
capiscono meglio! ... E non corri il rischio di scatenare una nuova creazione
...”
Lo stesso dicasi per
una teoria che confonda il “vuoto quantistico”, cioè un ambito fisico a densità
bassissima, con un termine linguistico di natura puramente metaforica: “niente”,
o “nulla” che dir si voglia, non possono dare origine all’universo più di
quanto non possano: “alcuni”, “tal altri”, “perbacco!”, “minchia!”, “estremamente”,
“tomo tomo cacchio cacchio”, e via farneticando ...
E’ vero, come dice il
“parroco” dell’intervista, che dal niente non nasce niente, ma se si smette di
confondere una pura negazione con un concetto fisico, allora si potrà sostenere,
che il tutto può manifestarsi sotto forma di materia oggi, ovvero sotto l’aspetto
infinitesimale e invisibile di una coppia di particelle virtuali, domani ... E,
magari, proprio da tali particelle virtuali, in un lontano passato, o futuro,
un universo potrebbe sbocciare, trasformando il “vuoto tremulo” dell’indeterminato,
nel fuoco “pirotecnico” di un Big Bang.
Ma quante ne so ...
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