Abstract: Si dice che Colombo abbia
sconcertato i suoi “nobili” esaminatori alla corte del Re di Spagna, sfidandoli
a mettere in piedi un uovo e che, non riuscendoci in nessun modo, essi si siano poi
adombrati, quando lui per farlo lo ha scheggiato … Vero o falso che sia l’aneddoto,
è pur vero che per ingannare qualcuno basta distrarre sua l’attenzione
divagando su cose irrilevanti: la cosiddetta “Teoria del Tutto” ne è un “classico”
(o quantistico!) esempio …
Tutto ciò che abbiamo intorno punta in una
direzione eppure la maggior parte di noi non sembra accorgersene: ricordate la
storia di Colombo? … A quanto pare tutti sapevano, ai suoi tempi che la terra
fosse rotonda e persino la sua circonferenza con buona approssimazione (Eratostene di Cirene,
Cirene, 276 a.C. circa)
e su questo le idee confuse le aveva proprio lui, Colombo (che sbagliava e di
grosso il calcolo di tale circonferenza!!), e tuttavia mentre gli altri “non
volevano vedere” (i.e.: trarne le dovute conseguenza) … lui, sì!
Oggi siamo in una situazione simile: tutti
sanno ormai che esistono alcuni problemi scientifici insolubili (o inesorabilmente
paradossali, se volete), ma ognuno guarda altrove e pensa ad altro (“… tengo
famiglia …”) …
Io, invece, amo i para-dossi (e anche, da
quando presi la patente, le “para-cunette”,
a dire il vero …) e quindi mi lancerò col para-cadute fra due para-dossi,
infilandomi in una di queste para-cunette con sensualità e desiderio.
Dichiarazione di intenti: se è vero che la
Relatività Generale produce il paradosso della cosiddetta “singolarità” quando
si tenti di spingere le sue equazioni ai limiti delle più estreme iper-energie e
se è vero che la Meccanica Quantistica/QFT incappino in insormontabili paradossi
alle “basse energie” (i.e.: quelle di ordine quotidiano e macroscopico) e se è
vero che - in tutte le possibili varianti - le teorie di “stringhe” non sanno
in che universo andare a sbattere, allora questo è pane per i miei denti …
evidentemente non per i loro.
La “singolarità” non è affatto uno spauracchio,
né la fine del mondo: è solo la fine di un ragionamento e l’inizio di un altro.
L’impossibilità di descrivere la realtà quotidiana con le tecniche quantistiche
e di stabilire quale sia esattamente il “vuoto” in cui collocare il nostro
universo, in mezzo ai 10500 “vuoti” possibili, secondo il “panorama”
della “M-theory”, non ci deve spaventare ... a sua volta, non si tratta che di un
cambio di prospettiva, necessario in presenza di un cambio di contesto. Quello
che non serve a niente (ma serve a “qualcuno”) è la ricerca della mitologica “Teoria
del Tutto”: non appena smetti di correre dietro ai miti, trovi quello che è
possibile trovare: le cose come stanno.
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Le cose come stanno
Quello che dal nostro punto di vista è piuttosto evidente è che le spiegazioni sono complete “sempre” e che non è necessario andare avanti a tutti i costi e in eterno … quando fermarsi allora? … Nemmeno il dubbio sul “fermarsi” è il punto vero …
Ogni cultura, ogni mitologia, ogni filosofia,
ogni scienza … può e deve essere completa se decidiamo di servircene, ma se
viviamo nell’ansia e nell’insicurezza di ciò che vogliamo … non lo sarà mai!
Quello che ci serve non è il progresso, o la
ricerca permanente di qualcos’altro di più e sempre di più … questo è solo il
risultato di un disagio mentale, non di una spinta sana, o dalla curiosità di
conoscere …
Come posso affermare ciò? … Se per andare
avanti, devi lasciare indietro qualcuno, allora non sei civile, sei solo
egoista e se lo sei, allora hai un problema mentale.
La domanda è: dove vogliamo arrivare e a quale
prezzo? … Quando è il caso di fermarsi e quali le motivazioni ammesse? …
La risposta è “senza freni” e “lo spettacolo
deve continuare a tutti i costi”? … ok … Vorrò proprio vedere questi stupidi
dove vogliono arrivare (*).
Partiamo da un caso banale: lo specchio
concavo che molti hanno nel bagno produce riflessi di luce incredibilmente
strani, le forme di luce vengono deformate e si accavallano, cambiando
direzione, concentrandosi in modo da sembrare più intense nei punti di cambio traiettoria
… Ecco, questi sono esempi sui generis di “buco nero”. I raggi di luce che
deviano dal loro naturale percorso in linea retta per cause inaspettate ci
suggeriscono come la fine di qualcosa per motivi non conosciuti sia pur sempre
“naturale” e spiegabile senza invocare catastrofiche singolarità: le cose
“cambiano” continuamente; le cose “sono” il cambiamento in se stesso; le cose
cambiano anche quando non cambiano (se non altro perché viaggiano comunque nel
tempo!!!); le cose sono o non sono - in un certo modo - a seconda della
distanza alla quale si trovi l’osservatore …
Un esempio per tutti: le galassie sono un
oggetto, o non lo sono? Sono un insieme di oggetti, ok, ma sono concepibili
come un oggetto a loro volta? … E’ possibile afferrare una galassia, come si
afferra una mela (mutatis muntandis in termini di proporzioni relative)?
All’inverso, se noi potessimo ridurre le
nostre proporzioni (come nel noto film di fantascienza “Viaggio allucinante”) e
utilizzare un apposito mezzo miniaturizzato, potremmo navigare attraverso le
fibre della mela come faremmo con un’astronave attraverso le stelle di una
galassia? … Hanno senso pratico questi paragoni? … La realtà dipende dalla
distanza dalla quale osserviamo gli oggetti, o dai mezzi tecnici (telescopi,
microscopi, ecc.) che utilizziamo per effettuarle? … Le cose sono, infine, come
sono di per sé, o dipendono da come, o da dove le si osservi? …
Noi spesso dimentichiamo, nel fare certi
discorsi, che non è possibile ragionare di osservazioni senza avere chiaro in
mente chi compia tali osservazioni, ovvero noi stessi: nessuna osservazione ha
senso se non teniamo presente innanzitutto le nostre dimensioni; ovvero
l’influenza – o meno – che le nostre dimensioni e potenziale invasività possano
avere sull’esito di tali osservazioni: entrare nella mela senza pensarci su
potrebbe danneggiarla … entrare nella galassia senza pensarci su potrebbe
danneggiare noi …
Le galassie esistono solo perché nella nostra
mente hanno un senso in termini di categoria mnemonica, nessun altro essere -
che non fosse simile a noi – avrebbe motivo di “pensare” che esse esistano e
che siano qualcosa di diverso da un mucchio di stelle confuse in mezzo ad altre
(in fondo è stato così per gli umani per molto tempo, mitologa a parte). Lo
stesso dicasi per gli ammassi di galassie e per gli altri tipi di agglomerati
stellari … Potremmo dire di più: se noi fossimo entità particolari - con una
sensibilità specifica per la materia oscura – non degneremmo della minima
attenzione né stelle né agglomerati delle medesime, per quanto vistosi … Non li
noteremmo nemmeno se avessimo dei telescopi costruiti allo scopo: non sarebbero
che una misera frazione di un insignificante 5% della totalità del cosmo … robetta
da lasciare come mancia ai camerieri (nobile categoria di cui ho fatto occasionalmente
parte anch’io).
Se poi noi fossimo entità sensibili solo
all’energia oscura, potremmo dare un calcio anche alla materia oscura e
fregarcene anche di lei, mentre della materia ordinaria non avremmo
probabilmente neanche sentito parlare …
Vediamo di spiegare come, nel caso
particolare della “singolarità”, possiamo superare il paradosso: esistono, allo
stato delle nostre conoscenze, tante singolarità quanti sono i buchi neri
nell’universo e in più va aggiunta quella che potrebbe aver preceduto il
BigBang. Secondo una mia ipotesi provocatoria (in quanto sfidante dei paradossi
professionale) la spiegazione naturale e non contraddittoria di tutte queste
apparenti entità è che si tratti invero di una singola entità e che non sia
altro che il “confine” dell’universo stesso: la sua “fine” e il suo “inizio”
allo stesso tempo, un “punto” adimensionale se visto come “inizio” e una
“bolla” illimitata se visto come “fine”.
Il motivo per il quale le considero tutte
quante come una sola entità è che esse, se ci fate caso, non possono che avere
le stesse coordinate spaziotemporali “universali” (i.e.: 0,0,0,0) … Una ragione
aggiuntiva è che trattandosi di entità al di “fuori” dello spaziotempo corrente
non possono che essere “indistinguibili” e in un'unica “postazione”. Questo
paradosso è solo apparente e solo se lo si pensa come esterno al nostro
universo, ma il paradosso svanisce se lo si considera come il “contorno esterno”
del nostro universo: in effetti noi – l’universo - stiamo “all’interno” della
singolarità che ci ha generato e che ci sostiene.
Tutti coloro che hanno avuto modo di vedere
la mappa della Radiazione Cosmica di Fondo (CMB, di cui internet è prodigo
dispensatore), possono facilmente farsi un’idea di ciò che si intenda: la mappa
in questione è il “confine” del nostro cielo osservabile, se noi avessimo
occhiali speciali atti all’uopo poteremmo vedere la CMB come uno sfondo dietro
ogni altra cosa del nostro firmamento stellato. Al di là del cielo, ci sarebbe –
c’è - la CMB, come un’immensa sfera … Ma curiosamente quella sfera sarebbe di
dimensioni risibili rispetto al nostro universo attuale … Ciononostante la
vedremmo tutto intorno ad un cielo immenso … E cosa ci sarebbe oltre? …
Paradossalmente qualcosa di ancora più
incredibilmente piccolo, i primi momenti del cosmo … e ancora dietro … Un
singolo “punto”, privo di dimensione eppure in grado di circondare l’universo
intero … Ciò sembra proprio un … paradosso! … Già … Rieccoci coi paradossi.
Come fa un “punto” a circondare i circa 78
miliardi di anni-luce (minimo) del diametro del nostro universo? … Può.
Un punto adimensionale non è un punto
particolarmente piccolo, né uno piccolissimo … Semplicemente, NON RISPONDE ad
alcuna forma di misurazione e può quindi essere tanto piccolo, quanto grande,
quanto immenso, senza scandalo alcuno. A dire il vero potrebbe anche essere …
“infinito”, o meglio ancora “eterno”, o forse entrambe le cose.
Quando si parli di misure, non bisogna
confonderle con ciò che misura non è! … E il concetto (spaziale) di infinito e
il suo omologo (temporale) di eterno si sottraggono entrambi ad ogni tipo
misura, ma non per questo sono necessariamente idee misticheggianti. L’unica
spiegazione “globale” che possiamo dare all’universo (uno, trino, o multi che
sia!!) è quella che non richieda a sua volta una spiegazione e che non sia
puramente metafisica (o teologica): per far questo dobbiamo a un certo punto
introdurre il “concetto astratto” in grado di farlo.
Definiamo come “eterno” un universo che
inglobi e spieghi il tempo stesso e che non lasci alcuno “spazio” al di fuori
di sé e quindi sia anche in certo modo “infinito”, pur mantenendo coerenza
fenomenologica: al momento della singolarità il tempo e lo spazio, insieme
all’energia subiscono una “transizione di fase” (cambio di “stato” istantaneo:
come quando l’acqua da liquida, ghiacciando, diventi solida; o come quando la
rottura spontanea della simmetria elettro-debole provochi l’alterazione del campo
di Higgs e l’acquisizione della massa nelle particelle elementari) e ripartono
con una nuova “storia”, in cui partecipino tutte le componenti della storia
precedente, ma con ruoli e proporzioni rimescolati: nulla si perde, nulla si
crea, nulla si distrugge, ma tutto rientra in gioco come la prima volta, con
nuove regole casualmente riscritte.
Non è nemmeno il caso di parlare di inizio e
fine veri e propri, perché la “transizione di fase” è un evento privo di cause
specifiche e del tutto accidentale: quello che ci deve stupire semmai è la
regolarità che riscontriamo nel nostro universo e la sua durata, probabilmente
è un caso più unico che raro, nel rincorrersi degli eoni … O forse è la nostra
ingenua visione del tempo, che ci fa percepire il medesimo in modo ingannevole …
chissà? …
Nel caso, apparentemente diverso dei misteriosi
innumerevoli “vuoti” di cui varie teorie si preoccupano (“universo inflazionario”,
“M-theory”, ecc.), si pensa che l’unica via d’uscita sia la possibile esistenza
del cosiddetto “multiverso” … E io dico: che razza di spiegazione sarebbe? … A
cosa serve? … E con essa, dove si vuole arrivare? …
Spostare il problema altrove è solo un modo
per tirare a campare (“… tengo famiglia …”), nient’altro.
Nessuno vuol negare la possibilità che
esistano altre dimensioni, né che vi siano diverse “sacche di vuoti” (con diversi
valori) sparse in giro (con uno o tanti corrispondenti universi, magari
paralleli … paralleli a cosa poi! …) …
Ma la mia domanda è: esse spiegherebbero
qualcosa di noi stessi e del nostro universo? … Non credo proprio! Sposterebbero solo il problema e ci renderebbero
ancora più insignificanti (cosa che ormai siamo già, senza bisogno di infierire!)
… Se anche tali “vuoti” multipli esistessero e generassero universi multipli (in
qualunque variante si possa immaginare) questo non escluderebbe la necessità di
individuare una qualche – seppur più ampia o amplissima - totalità e come
chiamarla se non “universale” … forse “super-universale”? … o “Luigi”? … o “iperbole”?
… o magari “sarchiapone”? … Qualunque nome va bene, ma per alcuni non dovrà mai
essere … “universo”!
Naturalmente, una volta ammessa la
possibilità (che comunque non è dimostrata e dovrebbe invece esserlo per essere
scienza) di questi universi “altri”, il passo verso il delirio puro e semplice
è breve e in giro (internet, ecc.) se ne trovano abbondanti esempi. La realtà
invece vuole che questi ipotetici universi multipli non possano comunicare
proprio e ciò a causa della loro stessa natura intrinseca: così come non
potremo mai scambiare esperienze con galassie lontane, ancor meno lo potremo
con universi collocati in dimensioni diverse … Sarebbe più facile,
metaforicamente parlando, scambiare conversazioni col Paperino (o chi per lui) dei
fumetti … Con le dimensioni non si scherza, eppure ci sono molti “comici” (oh,
pardon, fisici …) in giro che lo fanno.
Il vero problema non è quale sia la teoria
giusta, o quanti universi vogliamo avere a disposizione per dire cazzate, bensì
cosa noi vogliamo … E allora, cosa vogliamo … ?!
Ci diamo tante arie come società, perché
pensiamo di conoscere l’universo come nessun altra civiltà prima di noi … ma
non è vero! …
Chi ci ha preceduto, nella maggio parte dei
casi, ha saputo fermarsi ad apprezzare qualcosa, a trovare il senso alla parte
di mondo in cui aveva deciso di vivere e magari di provare a costruire il
“proprio” mondo.
Se vogliamo sperare di esserne all’altezza e
forse migliorare davvero in qualcosa rispetto a chi ci ha preceduti, forse
dovremmo trovare il modo di organizzarci in comunità che non debbano ammazzarsi
a vicenda per tirare avanti e magari questa volta … anche di riuscirci.
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Image credit: Work by William Hogarth (publicly available)
(*) Quote: "Pasquale" by Antonio De Curtis.
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